Per la prima volta tracciati gli scenari possibili. Se non cambia nulla, 44 milioni di donne si ammaleranno di tumore cervicale nei prossimi 50 anni
Cosa accadrebbe se nei prossimi anni si riuscissero ad aumentare le coperture vaccinali contro l’HPV (papillomavirus) e gli screening per il tumore cervicale?
Di quanto si potrebbe incidere sulla diffusione del cancro al collo dell’utero?
Se lo è chiesto un team internazionale di ricercatori che su The Lancet Oncology ha pubblicato quella che di fatto è l’istantanea di un futuro possibile.
DIMENTICARE IL TUMORE CERVICALE ENTRO LA FINE DEL SECOLO?
Il modello prefigurato dai ricercatori ha valutato due possibili scenari, ed è il primo lavoro di questo genere su scala globale.
Nel primo scenario si ipotizza un rapidissimo incremento di copertura vaccinale e di screening.
Se entro un paio d’anni anni si arrivasse all’80-100 per cento di ragazze fra i 12 e i 15 anni vaccinate e se tutte le donne avessero a disposizione due esami di screening (Pap-test o HPV-test) nella loro vita, si potrebbero prevenire 13,5 milioni di casi di tumore cervicale entro il 2069, e entro la fine del secolo la malattia sarebbe una rarità (meno di 4 casi ogni centomila donne) in quasi tutti i paesi del mondo.
Si può fare? "Challenging", l'hanno definito gli stessi autori: un sfida ardua.
PAPILLOMAVIRUS: TUTTO QUELLO
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SE NON SI AGISCE, 44 MILIONI DI CASI IN 50 ANNI
In un secondo modello di scenario – con tutta probabilità più realistico – si ipotizza invece un aumento graduale delle ragazze vaccinate contro il papillomavirus, arrivando entro il 2050 al 40-90 per cento, e delle donne che almeno una volta nella vita si sottopongono a screening cervicale (90 per cento entro il 2050).
In questo caso entro la fine del secolo arriveremmo a risultati diversi: nei paesi ad alto reddito il tumore cervicale sarebbe quasi eliminato (0,8 casi per 100.000 donne) e fortemente ridotto nei paesi più poveri.
Se non si fa nulla, aggiungono gli esperti, nei prossimi 50 anni saranno diagnosticati oltre 44 milioni di nuovi casi, soprattutto in paesi a basso e medio reddito, dove le diagnosi sono mediamente più tardive e dove è più complicato per le donne curarsi efficacemente.
GLI SFORZI DELLA COMUNITÀ INTERNAZIONALE
Questa indagine si iscrive in uno sforzo collettivo, con l’Organizzazione mondiale della Sanità in prima linea, per arginare un flagello per la salute delle donne. Il tumore del collo dell’utero è il quarto tipo di cancro più diffuso fra le donne e si stima che con l’accoppiata vaccino e screening si possano prevenire fra l’85 e il 90 per cento dei casi. Le disparità però sono feroci, nel mondo: nel 2014 nei paesi più poveri solo il 3 per cento delle ragazze ha potuto vaccinarsi, contro un terzo delle coetanee nei paesi ad alto reddito; le percentuali di donne che possono accedere ai controlli (dati 2008) sono rispettivamente del 19 per cento contro il 63 per cento.
LA SITUAZIONE IN ITALIA
Nei paesi sviluppati il peso della più nota fra le malattie portate dall’HPV, il tumore cervicale, è stato fortemente ridimensionato grazie allo screening con il Pap-test, che permette di diagnosticare precocemente tumori o alterazioni cellulari che possono diventarlo. I programmi di prevenzione prevedono per le donne italiane l'offerta attiva e gratuita dello screening fra i 25 e i 64 anni, con il Pap-test o, dai 30-35 anni, con il test HPV.
L’introduzione della vaccinazione contro il Papillomavirus (causa della quasi totalità dei carcinomi del collo dell’utero) permette oggi di evitare il contagio. Per questo è raccomandata e, in Italia, viene offerta a tutte le ragazze e i ragazzi nel dodicesimo anno d’età. Secondo il Piano nazionale di prevenzione vaccinale, è opportuna anche la vaccinazione delle donne di 25 anni di età con vaccino anti-HPV, anche utilizzando l’occasione della chiamata al primo screening per la citologia cervicale (Pap-test), oltre alla raccomandazione di utilizzo della vaccinazione secondo gli indirizzi delle Regioni (regime di co-pagamento) per tutte le donne.
Fonti
Donatella Barus
Giornalista professionista, dirige dal 2014 il Magazine della Fondazione Umberto Veronesi. E’ laureata in Scienze della Comunicazione, ha un Master in comunicazione. Dal 2003 al 2010 ha lavorato alla realizzazione e redazione di Sportello cancro (Corriere della Sera e Fondazione Veronesi). Ha scritto insieme a Roberto Boffi il manuale “Spegnila!” (BUR Rizzoli), dedicato a chi vuole smettere di fumare.