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Oncologia
Paola Scaccabarozzi
pubblicato il 07-03-2022

Covid-19: le cure anticancro non aumentano i rischi



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Per i malati di tumore con Covid-19 le terapie non aumentano la mortalità. Di Maio (Aiom): "Le cure non vanno interrotte. Importante vaccinarsi"

Covid-19: le cure anticancro non aumentano i rischi

Un importante studio condotto dall’Università di Birmingham ha analizzato sui malati di cancro positivi all’infezione da Sars-Cov-2 l'impatto del trattamento attivo, ossia delle cure antitumorali in corso o appena ultimate. La buona notizia è che, stando ai dati sulla mortalità, non risultano rischi aggiuntivi legati alle cure oncologiche.

 

LO STUDIO

I risultati sono stati appena pubblicati su Jama Network Open, la rivista medica mensile ad accesso libero dell'American Medical Association. 2.515 sono stati i pazienti adulti che hanno partecipato allo studio, di cui 1.464 uomini. L’età compresa tra i 62 e gli 80 anni.

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MALATI FRAGILI, MA LE CURE DEVONO CONTINUARE

«Ciò che emerso - commenta il professor Massimo Di Maio, oncologo dell’Università di Torino e Azienda Ospedaliera Ordine Mauriziano e segretario nazionale AIOM (Associazione Italiana Oncologia Medica) - è la conferma di ciò che avevamo già osservato in questi due anni di pandemia, cioè che i pazienti oncologici sono più fragili nei confronti del virus, e quindi sono a rischio di sviluppare forme severe di Covid-19. Peraltro, lo studio ci dice che le cure per i tumori, come la chemioterapia o l’immunoterapia, non aumentano il rischio di incappare in forme più gravi di Covid e non è stata trovata alcuna associazione tra incremento della mortalità e trattamenti oncologici. Dunque la scelta maturata dopo la prima ondata della pandemia, vale a dire di non interrompere i trattamenti, si è rivelata molto sensata anche alla luce di questa importante ricerca scientifica, ed è fonte di grande sollievo sia per i medici che per pazienti».

 

DECISIONI SU MISURA 

Confortante è dunque il messaggio per i pazienti oncologici in cura che, soprattutto qualora positivi, si sono spesso comprensibilmente allarmati circa la tempistica delle terapie. «Ovviamente la decisione di andare avanti o rinviare le cure antitumorali in caso di positività al Covid-19 - puntualizza Di Maio - è stata presa in relazione alla situazione contingente e allo specifico caso personale. Qualora il paziente fosse asintomatico e la cura antitumorale assolutamente non rimandabile, non ci sono stati dubbi. In situazioni in cui invece la priorità era quella di gestire un Covid severo, ovviamente sono state fatte altre scelte. Ancora diversa la situazione di pazienti positivi al Covid in fase di controllo del tumore, ad esempio trattati già da vari mesi con farmaci immunoterapici. In quel caso spesso si è optato per un breve rinvio (dieci, quindici giorni, il tempo necessario per negativizzarsi) di trattamenti rimandabili, ragionevolmente senza alcun impatto negativo sull’andamento della malattia».

 

PRIORITÀ ALLE CURE

Se invece parliamo dei pazienti non positivi al Covid-19? «Nel complesso, a differenza dei primi mesi della pandemia dove si era cercato di ridurre al minimo gli accessi in ospedale e i rischi di contagio, anche rinviando alcune terapie, successivamente si è data la priorità assoluta al proseguimento delle cure oncologiche, che è importante ancora sottolineare: non espongono, nel caso ci si infettasse di Covid, a forme più gravi di infezione».

 

L’IMPORTANZA DELLA VACCINAZIONE

«Da un’analisi dei dati di studio, eseguito tra il marzo e l’agosto del 2020, ossia in epoca pre vaccini, è emerso che il tasso di mortalità per Covid-19 è stato del 38 per cento (966 pazienti)» commenta Di Maio. «Cioè un dato molto alto che sta ad indicare la fragilità dei pazienti oncologici in caso di infezione. Il discorso vale in particolare, come messo in rilievo dallo studio, per coloro che sono affetti da tumori del sangue e cancro al polmone. Leucemie e mielomi sono infatti tumori che debilitano molto l’organismo, e i pazienti con tumore al polmone sono spesso fragili per la presenza di altre patologie che impattano in maniera significativa sul sistema respiratorio e cardiovascolare, con le ovvie ripercussioni in caso di concomitanza all’infezione da Sars-Cov-2. L’esito dello studio dei ricercatori anglosassoni, mette quindi in evidenza ancora una volta, in modo implicito, l’importanza della vaccinazione per questi soggetti fragili».

 

L’ACCESSO ALLE TERAPIE INTENSIVE

L’accesso alle terapie intensive è stato però molto basso, solo il 5% (131 pazienti). «Ciò sta ad indicare - spiega Di Maio - che, nella fase più acuta e di difficile gestione della pandemia, talvolta non è stato possibile ricoverare tempestivamente in terapia intensiva tutti i malati di Covid che ne avrebbero avuto bisogno, e si è data la priorità, di fronte alla scarsità di letti disponibili, a pazienti più giovani e/o con meno comorbilità, quindi con maggiori possibilità di giovamento da una terapia intensiva. A prescindere dalla gravissima situazione contingente che ha impedito talvolta di fare altre scelte, esiste però il rischio di non dichiarare eleggibili per terapia intensiva malati oncologici perché metastatici o in condizioni apparentemente gravi. In realtà accade che, senza l’opportuno confronto tra gli specialisti, si sottostimi la prognosi e le chance di cura, e questo è un importante insegnamento che deve sempre illuminare il medico circa la scelta migliore per il proprio paziente, sempre nell’ottica della personalizzazione della cura».

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Paola Scaccabarozzi
Paola Scaccabarozzi

Giornalista professionista. Laureata in Lettere Moderne all'Università Statale di Milano, con specializzazione all'Università Cattolica in Materie Umanistiche, ha seguito corsi di giornalismo medico scientifico e giornalismo di inchiesta accreditati dall'Ordine Giornalisti della Lombardia. Ha scritto: Quando un figlio si ammala e, con Claudio Mencacci, Viaggio nella depressione, editi da Franco Angeli. Collabora con diverse testate nazionali ed estere.   


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