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Oncologia
Serena Zoli
pubblicato il 12-07-2019

Buoni risultati dalla protonterapia sul neuroblastoma infantile



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Il più ampio studio finora contro il neuroblastoma ad alto rischio conferma l’efficacia della radioterapia con protoni

Buoni risultati dalla protonterapia sul neuroblastoma infantile

Il neuroblastoma ad alto rischio, tra i tumori solidi più comuni tra i bambini, è stato sottoposto a radioterapia con protoni nella più larga coorte di pazienti finora raccolta. I ricercatori del Children’s Hospital di Philadelphia hanno constatato che è efficace nel ridurre il tumore e che comporta una tossicità molto limitata a danno degli organi circostanti. Può stupire che si definisca «larga» una coorte composta da 45 pazienti. Una casistica che per altri studi sarebbe considerata poco probante, ma qui si tratta di bambini con neuroblastoma, una «popolazione» per fortuna non estesa e di cui andavano sottoposti a esame gli elementi in condizioni equiparabili.


PROTONTERAPIA MESSA ALLA PROVA

Lo studio è stato pubblicato sull’International Journal of Radiation Oncology e il capo équipe, la professoressa Christine Hill-Kayser, osserva: «Questi dati sono molto incoraggianti e potrebbero rappresentare una svolta per svariati motivi. Non solo abbiamo osservato ottimi risultati e pochissimi effetti collaterali, cosa che conferma il valore della protonterapia (Prt) per i pazienti con neuroblastoma ad alto rischio, ma abbiamo anche fornito una risposta al persistente interrogativo sulla Prt. E cioè se, essendo così mirata, i tumori potrebbero tornare. Nella maggior parte dei casi, invece, il tumore non si è riformato».

UN TUMORE TRA I PIU’ COMUNI NELL’INFANZIA

Il neuroblastoma è tra i più comuni tumori maligni tra i bambini, responsabile del 10 per cento di tutte le morti infantili per cancro. Il neuroblastoma insorge più frequentemente nelle ghiandole surrenaliche e si trovano molto vicino ai reni, al fegato, al pancreas, all’intestino, rendendo così difficile curarli senza danneggiare organi vitali in corpi così piccoli. Il trattamento consueto richiede una combinazione di terapie come chemioterapia, radiazioni e chirurgia. La ricerca sui 45 piccoli pazienti è stata condotta in due centri della Pennsylvania (Usa) tra il 2010 e il 2015. Non vanno confuse le radiazione con protoni e quelle con fotoni. Queste ultime si usano da tempo e utilizzano i raggi x, mentre la Prt costituisce una cura molto mirata che impiega un fascio di protoni che si muovono a grandissima velocità per distruggere il Dna delle cellule cancerose, così uccidendole e impedendo loro di moltiplicarsi (effetto, questo, comune con i fotoni). Altamente mirate, le radiazioni di protoni costituiscono una significativa promessa per trattare i tumori in bambini molto piccoli riducendo l’eventualità di toccare tessuti sani in via di sviluppo che potrebbero divenire un «fardello» per il resto della vita.

IL 97 PER CENTO SENZA RECIDIVA

A Philadelphia cinque anni dopo il trattamento dei 45 piccoli pazienti (cinque anni è il periodo più lungo dalla fine della cura con Prt nella ricerca) i risultati dicono: 82 per cento dei malati vivi; 97 per cento senza recidiva del tumore primario rimosso. Tossicità o effetti collaterali sono calcolati su una scala da 1 a 5, dove il 5 indica il massimo di gravità. Ora, nessun paziente aveva manifestato effetti tossici duraturi al fegato o ai reni, che sarebbero stati di grado 3 o 4, mentre la maggioranza di bambini e adolescenti avevano avvertito effetti collaterali di intensità 1. Conclude Hill-Kayser: «Noi abbiamo mostrato che la cura con protoni è efficace contro il neuroblastoma ad alto rischio e che non danneggia fegato, reni, intestino in organismi in crescita, come invece può accadere con le radiazioni tradizionali. Ora noi andremo avanti seguendo questi ragazzi per dieci anni dopo la cura». Altri studi sono necessari per delineare con sicurezza i contorni della terapia protonica.

OGGI EFFICACIA SIMILE FRA PROTONI E FOTONI

«Chiariamo subito che le guarigioni che si ottengono con i vecchi fotoni e con i nuovi protoni sono assolutamente uguali. Lo premetto per prima cosa e con forza, per scoraggiare le corse di genitori disperati verso ciò può essere ritenuto più promettente». Dolce e categorica, così esordisce la dottoressa Lorenza Gandola, responsabile dell’unità di radioterapia pediatrica all’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano. In più, osserva, nessuna di queste cure è adatta a tutti i tipi di tumori pediatrici. Ottimo lo studio di Philadelphia, ottimi i risultati ottenuti. «Ma gli stessi si possono avere con i fotoni, in quanto col tempo il loro impiego è stato modificato e migliorata la tecnica tanto che ormai il rischio di danneggiare gli organi intorno è davvero molto basso».

CAPIRE QUANDO SERVONO TECNICHE DIVERSE

Chiarisce Gandola che la protonterapia non è una novità, ma si usa da 40 anni in America ed è stata impiegata su pazienti di tutti i tipi, ma non ne sono usciti dei dati sui singoli effetti. «Sulle radiazioni protoniche non abbiamo ancora certezze dosimetriche, vanno perciò usate a ragion veduta, caso per caso. Il nostro sforzo è indirizzato a documentare la potenziale riduzione di alcuni effetti collaterali a medio e lungo termine per poter selezionare in modo oggettivo i pazienti che maggiormente possono trarre vantaggio da questa tecnologia». I centri italiani specializzati nella radioterapia pediatrica, continua la specialista, devono collaborare strettamente con i centri di protonterapia. In Italia ne abbiamo due: a Trento e a Pavia, con la Fondazione Cnao. «Noi collaboriamo con quest’ultimo centro. Ma ce ne vorrebbero tanti, indubbiamente le macchine sono molto costose. Però quello che per me è un dovere, oggi, sarebbe elaborare studi clinici con centri di Prt per individuare i sottogruppi di pazienti che possono trarne un vantaggio clinico significativo dal ricorso ai protoni».

Serena Zoli
Serena Zoli

Giornalista professionista, per 30 anni al Corriere della Sera, autrice del libro “E liberaci dal male oscuro - Che cos’è la depressione e come se ne esce”.


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