Presentato un test basato su un EEG che misura la capacità di ricordare delle immagini. Si può arrivare a una diagnosi in due minuti. Ma poi?
Diagnosticare l’Alzheimer quando i sintomi sono manifesti significa arrivare “tardi”, nel senso che la malattia è già in atto, sotterraneamente, da 10 se non 20 anni. La diagnosi precoce è un obiettivo primo nella ricerca e costituisce la speranza di poter intervenire nella fase di sviluppo della malattia. Ma questo esame precoce per ora non c’è. All’Università di Bath (Gran Bretagna) hanno messo a punto un sistema di indagine passiva e assolutamente oggettiva che dura due minuti. L’hanno chiamato Fastball Eeg (elettroencefalogramma), e consiste nel cogliere le onde cerebrali di una persona attraverso una cuffia piena di elettrodi, mentre il soggetto guarda passare su uno schermo delle immagini.
DIALOGO DIRETTO CON LE ONDE CEREBRALI
Il paziente non deve fare niente. Il controllo è diretto sul cervello. Quando una illustrazione passa una seconda volta, se la persona la riconosce si verificano piccoli, sottili cambiamenti delle onde cerebrali, che i medici possono osservare grazie al macchinario. E’ un test sulla memoria perché il sintomo più noto e devastante dell’Alzheimer è la scomparsa dei ricordi. E quella colta da “Fastball Eeg” sarebbe un’anteprima della futura capacità o no di trattenere i ricordi; in un momento così intervenire con farmaci potrebbe, forse, dare risultati. L’Alzheimer, sottolineano i ricercatori di Bath guidati dal dottor George Stothart, è la causa sottostante al 60 per cento delle demenze, con una diffusione del 5-7 per cento nella popolazione in Europa e Nordamerica.
UN ESAME RAPIDO ED ECONOMICO
Il loro obiettivo è di far diventare il test “Fastball Eeg” un esame di routine, adatto a condurre screening, dato che lo strumentario si trova già in ogni ospedale e la spesa, quindi, è minima. Il progetto compare insieme con il resoconto dei loro esperimenti sulla rivista Brain. Mostra interesse il professor Leonardo Pantoni, direttore del Reparto di Neurologia dell’Ospedale Sacco di Milano, studioso dell’Alzheimer. «E’ un test innovativo, sembra quasi una macchina della verità perché non c’è bisogno che il paziente partecipi, non c’è bisogno dell’interrogatorio: ricorda questa foto? cosa le fa venire in mente questo disegno? La risposta viene in automatico dal suo cervello».
E DOPO LA DIAGNOSI?
Riflette il professore. Poi: «Eh, già, sì questo test semplifica molto il processo, forse è anche fin troppo veloce. A noi, per fare una diagnosi di Alzheimer, occorre un po’ di tempo. Dobbiamo partire da un approccio clinico profondo, poi procedere con prove… Ma c’è un’altra riflessione. Quando abbiamo diagnosticato la malattia in decine di persone col metodo veloce di due minuti, poi con queste persone che cosa facciamo? Non abbiamo farmaci risolutivi. Dunque?». È vero, non ci sono cure per guarire le persone con Alzheimer, ma arrivare per tempo potrebbe consentire una presa in carico precoce, interventi medici utili e indicazioni di stili di vita che possano ritardare lo sviluppo della malattia e magari alleviarne l'impatto sulla vita dei pazienti e delle loro famiglie.
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Serena Zoli
Giornalista professionista, per 30 anni al Corriere della Sera, autrice del libro “E liberaci dal male oscuro - Che cos’è la depressione e come se ne esce”.