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Neuroscienze
Redazione
pubblicato il 15-10-2014

Un biomarker per individuare e monitorare l'Alzheimer



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Uno studio tutto italiano apre interessanti prospettive nella valutazione della malattia

Un biomarker per individuare e monitorare l'Alzheimer

Un'équipe di medici e ricercatori dell'Istituto di Neurologia Sperimentale diretto dal prof. Giancarlo Comi presso l'IRCCS Ospedale San Raffaele, parte del Gruppo Ospedaliero San Donato, ha individuato un nuovo fattore per la diagnosi e la prognosi della malattia di Alzheimer. Lo studio è stato reso possibile grazie a un finanziamento di Fondazione Veronesi e del Ministero della Salute. Condotto dal dott. Roberto Furlan, responsabile dell'Unità di Neuroimmunologia clinica e dalla dott.ssa Federica Agosta, Unità di Neuroimaging Quantitativo, diretta dal prof. Massimo Filippi, il lavoro è stato recentemente pubblicato sulla rivista scientifica Annals of Neurology e ripreso tra gli highlights di Nature Reviews Neurology.

La malattia di Alzheimer è la causa più comune di demenza e si caratterizza per un processo degenerativo che colpisce in modo progressivo le strutture cerebrali. Più frequentemente, i primi sintomi sono rappresentati dalla perdita di memoria e dell'orientamento spaziale e temporale. Le attuali stime indicano che le persone affette da questa malattia siano oltre 35 milioni nel mondo e 700.000 in Italia. Questi numeri sono però destinati ad aumentare drammaticamente nei prossimi anni a causa del rapido invecchiamento della popolazione. Si stima perciò che nel 2050 i pazienti affetti da malattia di Alzheimer nel mondo diventeranno più di 100 milioni.

La malattia inizialmente colpisce l'ippocampo, sede della memoria a breve termine, per poi diffondere al resto del cervello. Come avvenga questa progressione non è del tutto noto. I ricercatori del San Raffaele hanno scoperto che tale diffusione potrebbe avvenire attraverso le fibre nervose che connettono le aree inizialmente colpite alle altre regioni cerebrali.

Lo studio ha coinvolto 106 pazienti affetti da malattia di Alzhemeir in stadio già avanzato e 51 pazienti che presentavano i primi sintomi della malattia (Mild Cognitive Impairment). Nel liquido cerebrospinale di questi pazienti è stato riscontrato un alto livello di un nuovo marcatore infiammatorio, cioè particolari microvescicole che derivano dalle cellule microgliali. In particolare, il maggior incremento di microvescicole microgliali è stato evidenziato non solo nei pazienti affetti da demenza conclamata, ma anche in quei soggetti con Mild Cognitive Impairment che, nei tre anni successivi, sviluppavano la malattia di Alzheimer, suggerendo quindi un possibile valore diagnostico e prognostico di tale marcatore.

Spiega Federica Agosta, prima autrice dello studio: "Abbiamo inoltre sottoposto un gruppo di pazienti a Risonanza Magnetica con tensore di diffusione (3 Tesla),tecnica che permette di valutare il danno microstrutturale a carico dei fasci di sostanza bianca cerebrale, e mediante l'utilizzo di queste tecniche avanzate di neuroimaging, è stato possibile evidenziare come la presenza delle microvescicole sia correlata al danno delle connessioni cerebrali strutturali. Questo dato potrebbe quindi sostenere il ruolo attivo della microglia nel processo di diffusione delle alterazioni patologiche della malattia di Alzheimer che, come suggerito da recenti studi sperimentali, sembrerebbe avvenire proprio tramite una propagazione lungo i fasci di sostanza bianca".

Aggiunge Roberto Furlan, responsabile dell'Unità di Neuroimmunologia: "Questo fenomeno è risultato particolarmente evidente nei pazienti nelle fasi precoci di malattia. Le microvescicole del liquido cerebrospinale e le tecniche di imaging avanzato potrebbero perciò contribuire alla diagnosi precoce e alla definizione di fattori predittivi nelle persone affette da malattia di Alzheimer."


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