Secondo uno studio olandese durato vent’anni, i deficit mnemonici sono associati alla probabilità di ischemia o emorragia cerebrale. Specie in persone non ancora anziane e istruite
A volte si sottovalutano piccole o grandi lacune mnemoniche. Invece, soprattutto se si propongono con una certa assiduità nel tempo, a partire dalla mezza età e in persone con un buon livello culturale potrebbero essere l’avvertimento di un primo segnale di qualche cosa che non va a livello cerebrale. La spia del rischio di un ictus in particolare. A portare avanti questa tesi è un ampio studio, condotto dall’Università Erasmus di Rotterdam, in Olanda, e pubblicato sulla rivista Stroke.
LO STUDIO
I vuoti di memoria, specie se accadono in giovane età, vengono attribuiti allo stress, all’abitudine di fare più cose contemporaneamente e poi all’inevitabile tempo che passa e che logora le funzionalità cerebrali, meno vispe e attente. Giustificazioni in parte veritiere, ma oggi a questi cali di memoria (che non sono riferibili semplicemente alla dimenticanza di un nome o al non ricordare esattamente dove si sia posto un oggetto) si sarebbe data anche una spiegazione più clinica. Ipotizzando cioè che possono essere segnali precursori del rischio di sviluppare nell’arco degli anni un ictus.
La considerazione è nata dopo aver osservato per un periodo di oltre 20 anni un campione di circa 9 mila individui, tutti in buona salute e con una età dai 55 anni in su, interrogati all’inizio dello studio sulla qualità della loro memoria con un questionario. «Alla conclusione del monitoraggio - ha spiegato Afran Ikran che ha condotto lo studio – abbiamo potuto rilevare che coloro che incorrevano con maggiore frequenza in episodi di perdita di memoria, avevano anche una probabilità superiore di incappare in un ictus». Evento che nel corso dello studio si è concretizzato in 1.200 casi di malattia fra i più smemorati.
L’ISTRUZIONE
Ma c’era una particolarità in più: perché coloro che erano stati colpiti da ictus, avevano anche il grado di istruzione più elevato. «Mettendo in relazione il numero di ictus occorsi e gli episodi di mancata memoria – ha continuato il ricercatore - è stato possibile osservare che nel 34% dei casi la laurea era fra gli elementi implicati nello sviluppo del colpo sia di natura ischemica sia emorragica». Ovvero la perdita di alcuni particolari ricordi poteva tradursi, in questa popolazione istruita, in un'attendibile spia per una importante patologia cardio-vascolare. Non restava a questo punto ai ricercatori che domandarsi il perché di questa correlazione.
«La spiegazione – ha precisato Ikran - sembra risiedere nel fatto che il cervello delle persone più istruite è più allenato ad apprendere e più abile nel ricordare, quindi maggiormente protetto dalla repentina perdita di dati». Da cui l’indicazione che gli improvvisi buchi di memoria fra i colti erano attribuibili a una disfunzione organica molto più evidente rispetto a persone con un livello di istruzione inferiore. «E’ possibile ritenere – ha concluso lo studioso – che nel momento in cui si verificano questi episodi di amnesia, sia già in corso un danno cerebrale importante che la riserva cognitiva non riesce più a compensare».
LA PREVENZIONE
La prima prevenzione si affida al buon senso e consiglia di rivolgersi ad uno specialista quando questi buchi di memoria non possono più essere ritenuti casuali o avvengano in persone ‘giovani’, in modo da attuare le corrette misure terapeutiche. La seconda è di ordine più pratico e fattivo: infatti, a detta dei ricercatori. Basterebbe iniziare a lavorare presto; perché mantenere vitale e attivo il cervello, così come l’intero organismo, è una efficace strategia per portarlo in salute fino all’età avanzata. Una prevenzione contro l'ictus e la demenza, insomma, a costi clinici pari a zero.