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Neuroscienze
Daniele Banfi
pubblicato il 29-10-2014

Ictus: è l’era della chirurgia endovascolare



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Un intervento efficace e tempestivo permette di ridurre del 30% il grado di disabilità. In Italia però mancano Stroke Unit attrezzate, specie al centro sud

Ictus: è l’era della chirurgia endovascolare

Grazie al progresso delle tecniche di microchirurgia l’ictus fa meno paura di un tempo. Oggi, un fatto impensabile fino a qualche anno fa, è possibile trattare con successo anche i casi più disperati. Come? Rimuovendo direttamente dall’interno, grazie ad un microcatetere, l’occlusione nelle arterie cerebrali causate dalla presenza di trombi. Una realtà ampiamente consolidata in quegli ospedali attrezzati con Stroke Unit di alto livello. I dati, in fondo, parlano chiaro: prima si interviene e maggiori saranno le probabilità di successo. La presenza di Stroke Unit, nei casi più gravi, è in grado di ridurre di oltre il 30% il grado di disabilità associato all’ictus. Purtroppo però non in tutta Italia sono presenti. Drammatica è la situazione al centro-sud. Un esempio? Nella regione Lazio le strutture preposte ad effettuare questi trattamenti sono solo nella capitale.

 

IL DANNO

Come spiega il professor Domenico Inzitari, direttore della Stroke Unit e Neurologia presso l’Azienda Ospedaliera Careggi di Firenze, «Tecnicamente un ictus ischemico si verifica quando un coagulo di sangue in un’arteria blocca il flusso di sangue al cervello. Ciò causa il mancato flusso di ossigeno e nutrienti nella zona a valle del blocco. Intervenire ripristinando il prima possibile il corretto fabbisogno di sangue è fondamentale per limitare i danni al tessuto cerebrale». Secondo le ultime statistiche ogni anno sono circa 650 mila le persone sono colpite, l’equivalente di più di un ictus ogni minuto.

 

COME SI INTERVIENE

Allo stato attuale della medicina esistono fondamentalmente due possibilità di trattamento. Uno è rappresentato dalla terapia farmacologica, l’altro dalla rimozione meccanica dell’occlusione mediante dispositivi inseriti dall’esterno. «Il trattamento farmacologico –continua Inzitari- deve essere effettuato in tempi rapidi e prevede l’utilizzo di particolari molecole che hanno la capacità di dissolvere l’occlusione». Un approccio molto valido che però non sempre è indicato in tutti i pazienti. E’ il caso di quelle persone che sono sotto terapia anticoagulante attiva, che hanno avuto una recente operazione o che hanno occlusioni importanti e la sola terapia trombolitica non basta «In questi frangenti –spiega il professore- è possibile ricorrere oggi al trattamento di trombectomia meccanica.

Questa tecnica, che prevede l’inserzione di un piccolo catetere a livello dell’arteria femorale, permette al chirurgo di raggiungere l’area occlusa a livello cerebrale e di rimuovere fisicamente il trombo». Un’operazione in grado di garantire ottimi risultati ma che ad oggi non è possibile effettuare ovunque sul territorio italiano. Oltre a prevedere dei costi notevolmente superiori rispetto alla trombolisi, per la rimozione meccanica è richiesta la presenza di più figure ospedaliere in quanto si tratta di una vera e propria tecnica da svolgersi in sala operatoria. Tecnica che è possibile solo ed esclusivamente in ospedali dotati di solide Stroke Unit.

 

STROKE UNIT

Ma è proprio la presenza di questa strutture ad essere carente. «Operativamente si tratta di ospedali che possiedono al loro interno dei posti letto dedicati alla degenza e alla riabilitazione delle persone colpite da ictus. Ma la sola degenza non basta: ad essere fondamentale è l’equipe che si occupa della parte interventistica. In Italia la situazione non è per nulla omogenea. In particolare c’è da intervenire al centro-sud. Alcune regioni possiedono un numero di Stroke Unit ampiamente inferiore rispetto alle reali necessità. Un gap che deve essere necessariamente colmato» conclude Inzitari. I dati, in fondo, parlano chiaro: prima si interviene e maggiori saranno le probabilità di successo. La presenza di Stroke Unit, nei casi più gravi, è in grado di ridurre di oltre il 30% il grado di disabilità associato all’ictus.

 

@danielebanfi83

Daniele Banfi
Daniele Banfi

Giornalista professionista del Magazine di Fondazione Umberto Veronesi dal 2011. Laureato in Biologia presso l'Università Bicocca di Milano - con specializzazione in Genetica conseguita presso l'Università Diderot di Parigi - ha un master in Comunicazione della Scienza ottenuto presso l'Università La Sapienza di Roma. In questi anni ha seguito i principali congressi mondiali di medicina (ASCO, ESMO, EASL, AASLD, CROI, ESC, ADA, EASD, EHA). Tra le tante tematiche approfondite ha raccontato l’avvento dell’immunoterapia quale nuova modalità per la cura del cancro, la nascita dei nuovi antivirali contro il virus dell’epatite C, la rivoluzione dei trattamenti per l’ictus tramite la chirurgia endovascolare e la nascita delle nuove terapie a lunga durata d’azione per HIV. Dal 2020 ha inoltre contribuito al racconto della pandemia Covid-19 approfondendo in particolare l'iter che ha portato allo sviluppo dei vaccini a mRNA. Collabora con diverse testate nazionali.


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