Non vale più l’idea del “masterclock-cerebrale” che dà il tempo a tutto il corpo. Individuati tanti sincronizzatori autonomi: a modularli la luce e il cibo. Si allargano le possibilità di curare molte malattie con terapie “localizzate”
Ma quanti "orologi" abbiamo in corpo? Tanti, quasi uno per ogni organo. E questo gli esperti lo sapevano già, così come risultava che tutti “ubbidivano” a un “masterclock”, un orologio centrale situato in una piccolissima zona cerebrale dell’ipotalamo detta nucleo soprachiasmatico. Il quale, a sua volta, governava i ritmi del corpo sulla base del ciclo luce-buio. Ritmo circadiano è quello che copre le ventiquattro ore complete del giorno e della notte e controlla moltissime funzioni dell’organismo a cominciare dall’alternanza veglia-sonno, la pressione del sangue, la temperatura corporea.
Ora una ricerca dell’Università di Lubecca (Germania) mette in discussione che ci sia una rigida gerarchia dall’orologio centrale a quelli periferici e pure che solamente la luce “dia l’ora” al masterclock. «Il nostro studio rivela un’organizzazione federale nella sincronizzazione degli orologi interni con l’ambiente circostante», ha dichiarato Henrik Oster, uno dei ricercatori. «Da questo viene il suggerimento che si possa agire sugli orologi periferici per ripristinare il ritmo circadiano e, da qui, affrontare le malattie che sono associate a un’alterazione del ritmo circadiano».
LE MALATTIE DEL TEMPO
«Una di queste malattie è la depressione maggiore, per esempio. Alcune forme di psicosi e malattie metaboliche», interviene il professor Roberto Manfredini, cronobiologo dell’Università di Ferrara. «E’ anche emerso, da altri studi, che pure il cibo – non solo il duo luce/buio – può modulare i ritmi interni». Manfredini fa subito un esempio: «Si sa che i grassi sono capaci di desincronizzare l’orologio del cardiocito, la cellula del miocardio, per cui il consiglio è: non mangiate cibi grassi la sera, se possibile». Precisa, il professore esperto dei nostri tempi interni, che resta una parte gerarchica nel collegamento tra i nostri tanti orologi, ma che si è evidenziata – come a Lubecca – anche un’area federale. «Un po’ come con gli Stati Uniti», osserva ridendo. Il cibo, con i suoi componenti e anche i suoi orari, modula i ritmi per esempio con la secrezione di insulina, che influisce sull’apparato gastrointestinale e interferisce con l’orologio del fegato.
LA GIUSTA ORA NEL PIATTO
Un esempio semplice di rimedio puntando sull’azione del cibo: «Il disturbo da jet-lag, com’è noto, deriva da una sfasatura del normale ciclo circadiano. Per rimettere a posto i tempi interno ed esterno si può approfittare di questa regola: i carboidrati aiutano a dormire, le proteine tengono svegli». Nell’area psichiatrica molti sono i disturbi legati a ritmi biologici sballati. «Nella depressione maggiore si è visto da anni», spiega Manfredini, «che vi è un’alterazione del ritmo del cortisolo, quello che è definito l’ormone dello stress. In tutti noi ha un picco massimo al risveglio che poi va calando fino a un valore minimo di notte.
Nei malati di depressione maggiore, invece, il picco mattutino è più alto della media e poi resta a quei valori. Causando anche disturbi del sonno. Infatti si usa anche la fototerapia per questi malati, per anticipare o allungare la giornata. Peccato che con la light therapy poi, appena si smette, tutto torni come prima». Ma il valore di queste scoperte di “delocalizzazione” del potere di modulare i cicli biologici apre un futuro promettente: «Se accanto alla gerarchia che fa capo al masterclock si individuano tanti sincronizzatori locali, si allarga lo spettro delle possibilità di intervento terapeutico».
TURNO E JET-LAG
L’ultimo esempio: i turnisti per lavoro sono più esposti negli anni alla sindrome metabolica con prediabete, ipertensione e altri disturbi. «Tempo addietro», racconta il professor Roberto Manfredini «si pensava che il meglio fosse alternare gli orari di settimana in settimana, invece la cronobiologia ha dimostrato che è il peggio. Oggi quasi tutti hanno adottato il sistema di alternare turni veloci, da un giorno all’altro, così si impedisce all’organismo di “ancorarsi” a quel tempo e ci sono dunque meno salti». Meno jet-lag sul lavoro, si può dire.
Serena Zoli
Giornalista professionista, per 30 anni al Corriere della Sera, autrice del libro “E liberaci dal male oscuro - Che cos’è la depressione e come se ne esce”.