Una ricerca al San Raffaele dimostra perché accettiamo di scommettere 100 euro solo a patto di poterne vincere 225. E’ il fenomeno di “avversione alle perdite”
Se perdo 100 euro poi ne guadagno 100, tutto bene, sono in pari. Eh no, solo in teoria, perché nei fatti il nostro cervello, almeno nella maggior parte di noi, continua a sentirsi in perdita. A viverne lo sconforto. Quei cento euro spariti contano molto di più di quelli guadagnati. Più del doppio. Tanto che per sentirsi davvero in pari e in pace il cervello, cioè noi, dobbiamo ottenere 225-250 euro.
Il fenomeno è noto come loss aversion, “avversione per le perdite” , e di recente hanno indagato questa particolarità del nostro organo più complicato – e a quel che pare non proprio razionale – otto ricercatori del Centro di neuroscienze cognitive e del Cresa (Centro di ricerca in epistemologia sperimentale e applicata) all’Università Vita-Salute San Raffaele. Un gruppo di volontari dovevano rispondere alla proposta di varie scommesse al 50 per cento, con diverse cifre in palio, e nel contempo venivano esaminati con la risonanza magnetica funzionale.
IL CENTRO DELLA PAURA
Gli studiosi milanesi hanno mostrato che è l’amigdala a fare da “centralina” per l’esagerata anticipazione del dolore per le possibili perdite derivanti da una scelta. E in quelle persone dove questa piccola mandorla del sistema limbico ha un volume maggiore, maggiore è “l’avversione per le perdite”. L’amigdala è una parte antichissima del cervello e, sottolineano i ricercatori, è anche il centro neurale della paura e dell’ansia.
Il che rimanda a questa possibile spiegazione evoluzionistica: in epoche primordiali uscire da luoghi protetti e rischiare per guadagnarsi il cibo poteva comportare il pericolo di perdere la vita per via dei predatori. Un danno definitivo. Dunque, la natura ha dotato il cervello di un sistema di tutela improntato a una grande prudenza dinanzi ai rischi. E l’esito riscontrato è un rapporto di 1 a 2,25 o 2,50. Significa appunto che le perdite pesano più del doppio delle vincite. E questo influenza i nostri comportamenti a proposito dei soldi e degli investimenti.
UN “PUZZLE IN BORSA”
E’ dagli studi di Daniel Kahneman, lo psicologo israeliano premiato col Nobel dell’economia nel 2002, che si sa che la loss aversion «è una potente abitudine mentale con estese conseguenze», dichiara uno dei ricercatori, e fondatori del Cresa, Matteo Motterlini.
Aggiunge: «Per molti anni è stato un rompicapo per la teoria finanziaria il fatto che, sul lungo periodo, le azioni hanno dimostrato di rendere ben più delle obbligazioni, eppure non sono le prescelte dalla maggioranza degli investitori: il “perché” di questo – chiamato premium equity puzzle – è risultato essere un meccanismo innato del nostro cervello».
TRAPPOLA MENTALE
Nella nostra mente, la “lotta” su scommettere o non rischiare per nulla si svolge tra il sistema dopaminergico che si attiva quando si immaginano i guadagni e si disattiva quando anticipiamo le perdite e, dall’altro lato, l’amigdala che si “accende” nel prevedere le perdite e si “spegne” quando si pensa alle possibili vincite. E che, come già s’è visto, finisce per vincere nella maggioranza dei casi.
E’ logico tutto questo? E’ sempre redditizio? Nient’affatto. «Si tratta di una delle “trappole mentali” , innate, che sono oggetto delle ricerche di Finanza comportamentale», spiega il professor Motterlini. Sconfitto chi riteneva o ritiene che sui soldi si decida in modo razionale. «Ah no, razionali non si nasce, ma se mai si diventa», conclude il ricercatore del Cresa.
Non stupirà sapere che tra gli sponsor della ricerca milanese non c’è un’azienda farmaceutica, ma Schroders, grande gruppo di fondi di investimento. Ma stupirà , o turberà, forse, apprendere, da un’altra indagine, che pure le scimmie cappuccine accettano di “scommettere” (barattare) pezzi di frutta solo nel nostro stesso rapporto: 1 a 2,5.
Serena Zoli
Giornalista professionista, per 30 anni al Corriere della Sera, autrice del libro “E liberaci dal male oscuro - Che cos’è la depressione e come se ne esce”.