Risponde Emanuele Angelucci, responsabile dell’unità operativa di Ematologia e Centro Trapianti dell’Ospedale Oncologico di Riferimento Regionale “Armando Businco” di Cagliari
Chiedo tutte le notizie possibili su di una malattia per fortuna rara, cioè l’anemia aplastica, a causa della quale nel 1974 ho perduto una mia figlia di 12 anni.
Allora i medici le fecero ben 84 trasfusioni di sangue peraltro raro, che nei cinque anni e passa di questa maledetta malattia procurai personalmente "svenando" tantissime ed ammirevoli persone, perfino alcuni Lanceri di Montebello che si offrirono con meraviglioso slancio per questa vitale bisogna.
Spero e naturalmente auspico che oggi la medicina abbia fatto passi in avanti: se così è, allora, evviva!
M.B. , Roma
Sono cambiate molte cose dal periodo di cui parla questo padre coraggioso, anche la terminologia medica. L’anemia aplastica che ha dovuto affrontare la ragazza è verosimilmente quella che oggi chiamiamo aplasia midollare, una grave carenza di tessuto emopoietico midollare, da cui deriva uno scompenso di tutte le cellule del sangue: piastrine, globuli bianchi e globuli rossi.
Non è una malattia tumorale, come le leucemie, ma, nella sua forma severa è ugualmente grave. I sintomi sono quelli tipici della carenza di ematopoiesi: astenia (stanchezza) sempre più marcata perchè mancano i globuli rossi (anemia), petecchie ed emorragie perchè mancano le piastrine (piastrinopenia), febbre e infezioni ricorrenti perchè mancano globuli bianchi (leucopenia e neutropenia). E’ una malattia rara, le cui cause possono essere un difetto delle cellule staminali ematopoietiche (le “madri” da cui derivano tutte le cellule del sangue) e del microambiente midollare, o ad una “autoaggressione” del sistema immunitario. Può manifestarsi senza ragioni apparenti o essere scatenata da fattori ambientali come infezioni virali (forma post epatitica) radiazioni, farmaci.
I passi avanti contro l’aplasia midollare sono stati importanti. Oggi siamo in grado di definire meglio e in tempi più brevi la malattia e, quindi, di scegliere il giusto livello di aggressività delle cure. Se un tempo i pazienti potevano essere curati solo con frequenti trasfusioni (come nel drammatico caso citato) e antibiotici per tenere sotto controllo le infezioni, adesso disponiamo di strumenti molto più efficaci. Le forme più leggere, infatti, vengono curate con una terapia di supporto e una blanda immunosoppressione. Di fronte a una forma severa, invece, possiamo intervenire in due modi: con il trapianto di cellule staminali ematopoietiche e con una terapia immunosoppressiva mediante farmaci di vario tipo, come immunoglobuline specifiche derivate da conigli o cavalli (siero antilinfocitario), ciclosporina, cortisonici.
La prima opzione, soprattutto per i pazienti giovani, è il trapianto di cellule staminali emopoietiche in tempi rapidi. Più si prolunga il periodo di aplasia, infatti, e più aumenta il rischio di infezione. Oggi sono migliorate di molto le possibilità di cercare e trovare un donatore compatibile; se c’è l'opportunità di trapianto entro un mese (un fratello donatore HLA compatibile, ad esempio) le possibilità di guarigione sono del 90%, allora si procede al trapianto il prima possibile senza terapie precedenti se non di supporto, per massimizzare le possibilità di riuscita dell’intervento.