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Chiara Segré
pubblicato il 13-07-2015

Una dieta per non far invecchiare il cervello



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È l’obiettivo della ricerca di Luis Emiliano Pena Altamira, ricercatore messicano che lavora all’Università di Bologna: capire quale tipo di alimentazione mantiene sano il cervello negli anni

Una dieta per non far invecchiare il cervello

È ormai un dato di fatto: nei Paesi sviluppati si vive sempre più lungo. Le numerose conquiste della medicina e della ricerca scientifica ci hanno regalato molti anni in più, ma è importante anche viverli con una buona qualità di vita. Uno dei fenomeni biologici collegati all’invecchiamento è l’aumento dello stato infiammatorio generale, compreso quello cerebrale con effetti negativi sui processi mentali. Diversi studi dimostrano che una dieta a base di proteine animali aumenta lo stato infiammatorio dell’organismo. E se ciò che mangiamo influenzasse anche il modo in cui invecchia il nostro cervello?

Dare una risposta a questa domanda è l’obiettivo della ricerca di Luis Emiliano Pena Altamira, biotecnologo messicano che però fin dagli anni dell’università vive nel nostro paese. Dopo una laurea in Biotecnologie mediche e un dottorato di ricerca in Biologia e fisiologia cellulare all’Università di Bologna, Luis è ricercatore post-doc nel laboratorio di Neurobiologia del dipartimento di Farmacia e Biotecnologie della stessa università, sotto la guida della professoressa Barbara Monti. 

Luis, in cosa consiste di preciso la tua ricerca?

«Siamo interessati a capire se e come una dieta a base di proteine animali possa accelerare l'insorgenza di uno stato infiammatorio nel cervello con l'invecchiamento, mentre una dieta a base di proteine vegetali possa rallentare questo processo. Se così fosse, la dieta potrebbe essere un semplice ma potente strumento per contrastare, almeno in parte, gli effetti dell'invecchiamento sul cervello. Per rispondere a questa domanda, verranno utilizzeranno topi che invecchiano più velocemente rispetto al normale, nutriti sin dalla nascita con diete diverse a base di proteine vegetali o animali. Verrà studiato il loro comportamento, tramite test comportamentali e cognitivi specifici, per valutare se le diverse diete influenzano le capacità cerebrali, e si misureranno i livelli di infiammazione del cervello, con l’obiettivo di capire l’influenza del tipo di dieta sull’invecchiamento cerebrale».

Quali prospettive apre il tuo progetto anche a lungo termine per la salute umana?

«L'alimentazione potrebbe essere adottata con cognizione di causa e con una solida base scientifica come strategia sanitaria ma anche economica, semplice e potente per contrastare, almeno in parte, gli effetti dell'invecchiamento cerebrale e delle malattie neurodegenerative come l'Alzheimer, che sono in aumento. Un approccio terapeutico basato sull'alimentazione potrebbe anche avere un effetto additivo e sinergico quando utilizzato assieme alle attuali terapie farmacologiche disponibili». 

Luis, sei nato in Messico e hai completato il liceo in Norvegia. Cosa ti ha poi portato nel nostro paese? 

«È stato quasi un caso. Fin dagli ultimi anni di liceo in Norvegia sapevo che avrei voluto diventare un ricercatore. In realtà quando ero in Norvegia volevo andare all’Istituto Pasteur di Parigi. Poi in Norvegia sono diventato amico di italiani, che mi consigliavano di provare a iscrivermi all'università in Italia. Così feci ed eccomi qui».

Come è stato ambientarsi in Italia?

«È stato abbastanza facile: l'Italia è simile al Messico per quanto riguarda l'accoglienza che mi è stata subito offerta, il buon cibo, lo stile di vita più rilassatorispetto ad altri paesi dove ho vissuto».

Ti piacerebbe prima o poi tornare a fare ricerca nel tuo paese?

«Sì, mi piacerebbe contribuire allo sviluppo della ricerca biomedica in Messico, dove ancora vivono i miei genitori e i miei fratelli. Mi piacerebbe avviare un programma di borse di studio per ricercatori presso un istituto messicano».

Perché hai scelto di intraprendere la strada della ricerca?

«Mio nonno paterno morì di tumore quando avevo nove anni; in quel momento ho pensato che da grande avrei voluto trovare la strada per combattere le malattie. Non avevo ancora idea di quanto sarebbe stata lunga la strada ma avevo, ed ho tuttora, la volontà di continuare a percorrerla».

Un momento della tua vita professionale che vorresti incorniciare.

«Il riconoscimento della Fondazione Veronesi; Il fatto che persone che non mi conoscono abbiano creduto nel mio lavoro mi ha dato molta spinta per continuare a fare ricerca».

Come ti vedi fra dieci anni?

È difficile rispondere considerate le prospettive presenti. Mi auguro di poter ancora fare ricerca scientifica e anche divulgazione, per comunicare l'importanza della ricerca per tutti noi».

Cosa ti piace di più della ricerca?

«Contribuire al cambiamento, migliorare la qualità di vita delle persone».

E cosa invece eviteresti volentieri?

«La lotta continua per trovare fondi. Spesso si rischia di cadere nella tentazione di fare ricerca su argomenti che mi permettano di pubblicare per poter chiedere ulteriori fondi, e si perde il vero senso della ricerca, cioè capire i meccanismi dei fenomeni per contribuire a trovare migliorare la qualità di vita delle persone».

C’è una figura che ti ha ispirato nella tua personale e professionale?

«Mahatma Gandhi, perché una singola persona è riuscita a cambiare il destino di una nazione  attraverso una strategia pacifica. Una dimostrazione che con la determinazione possiamo cambiare il mondo, che nel mio piccolo è ciò che faccio ogni giorno attraverso il mio lavoro».


@ChiaraSegre

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Chiara Segré
Chiara Segré

Chiara Segré è biologa e dottore di ricerca in oncologia molecolare, con un master in giornalismo e comunicazione della scienza. Ha lavorato otto anni nella ricerca sul cancro e dal 2010 si occupa di divulgazione scientifica. Attualmente è Responsabile della Supervisione Scientifica della Fondazione Umberto Veronesi, oltre che scrittrice di libri per bambini e ragazzi.


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