Anastasia De Luca indaga su FMRP, una proteina che sembra rendere le cellule di tumore mammario capaci di migrare e aggredire altri tessuti
La prospettiva di vita delle donne affette da tumore al seno è aumentata incredibilmente grazie alle nuove terapie e alla prevenzione, tuttavia una percentuale di pazienti ancor oggi va incontro alla formazione di metastasi. Le metastasi si generano perché alcune cellule (chiamate cellule tumorali circolanti) sono in grado di allontanarsi dal tumore, entrare nel circolo sanguigno, e invadere e crescere in altri organi. Questo processo prevede un cambiamento nella forma e nelle proprietà delle cellule, che da cellule epiteliali acquisiscono funzionalità proprie di cellule immature (dette mesenchimali) in un processo noto come transizione epitelio-mesenchimale (EMT). I processi alla base di questo fenomeno sono dunque di particolare interesse per la terapia antitumorale. Alcuni dati preliminari suggeriscono un forte coinvolgimento di una proteina, FMRP (Fragile X Mental Retardation Protein), nella regolazione del meccanismo di EMT. Grazie al sostegno del progetto Pink is Good di Fondazione Umberto Veronesi, la biotecnologa Anastasia De Luca dell’Università degli studi di Roma Tor Vergata sta lavorando proprio su questi aspetti.
Anastasia, parlaci più nel dettaglio della proteina al centro dei tuoi studi.
«La proteina FMRP, la cui assenza o mutazione è all’origine della Sindrome dell’X Fragile (una delle più comuni forme di disabilità intellettiva ereditaria), è stata ampiamente studiata nel cervello: è infatti coinvolta nel regolare la produzione di proteine importanti nello sviluppo delle cellule nervose. Recentemente è stata tuttavia osservata una correlazione tra un aumento nei livelli di FMRP e una maggiore aggressività e propensione a metastatizzare nei tumori del seno. Sembra inoltre che FMRP influisca sul processo di EMT. Il mio progetto si propone quindi di isolare e caratterizzare le cellule tumorali circolanti da pazienti affetti da tumore mammario, di analizzare lo stato delle proteine coinvolte nell’EMT e correlare i livelli di FMRP con lo stadio del tumore».
Come ti aspetti quindi che questo studio possa aiutare in futuro le pazienti affette da tumore al seno?
«I risultati forniranno le basi per lo sviluppo di terapie personalizzate basate sul profilo genetico delle singole pazienti: i livelli di FMRP, insieme a marcatori specifici dell’EMT, potrebbero essere utilizzati come indicatori prognostici della severità della malattia».
Sei mai stata all’estero a fare un’esperienza di ricerca?
«Sì, ho avuto la grande opportunità di poter frequentare il laboratorio diretto da Prof. Paul Dyson presso all’Ecole Polytechnique Federale de Lausanne in Svizzera. Questa collaborazione è iniziata durante il mio dottorato di ricerca: ero incuriosita dai progetti condotti e interessata ad imparare nuovi approcci sperimentali. È stata un’esperienza formativa fondamentale nel mio percorso scientifico».
Cosa ti ha spinto ad intraprendere la strada della ricerca?
«Devo ringraziare la mia professoressa di biologia del liceo: la passione che metteva nell’insegnamento mi ha trasmesso l’interesse e la curiosità per la scienza. Per me la ricerca non rappresenta un lavoro, ma una vera e propria scelta di vita che mi permette di continuare a studiare e approfondire la mia conoscenza ogni giorno».
Quali sono stati i momenti migliori della tua vita professionale?
«Sicuramente gli episodi in cui ho visto riconosciuti gli sforzi fatti per raggiungere dei risultati, come l’aver vinto per ben due volte una borsa di studio di Fondazione Umberto Veronesi. Credo però che siano importantissimi anche i piccoli momenti quotidiani “di conquista”: riuscire a mettere a punto un esperimento quasi perfetto, ottenere un risultato tanto sudato, veder pubblicati i frutti del proprio lavoro».
Come ti vedi fra dieci anni?
«Spero di aver abbattuto il precariato, di poter fare ricerca senza l’ansia del domani e di poter dirigere un mio laboratorio di ricerca».
Una figura che ti ha ispirato nella tua vita personale e professionale.
«La caparbietà di mio padre nell’andare avanti, sempre».
Qual è per te il senso profondo del fare ricerca?
«La ricerca è alla base della nostra stessa esistenza. Quello che spinge ognuno di noi a imparare e crescere intellettualmente è la curiosità: quella che mi spinge a vedere cosa c’è al di là di un ponte, a leggere un libro o guardare un film, e a capire perché il corpo umano si ammala. Seguire la mia curiosità, perseverare e cercare di comprendere mi dà la speranza di riuscire a contribuire alla soluzione dei problemi che ci affliggono».
Cosa ne pensi della diffusione dei complottismi e di movimenti ideologicamente contrari ai pareri della comunità scientifica?
«La presenza di gruppi contrari ad esempio alla sperimentazione animale o ai vaccini nasce dalla diffusione di informazioni erronee e approssimative tramite social media e blog. Bisognerebbe cercare di offrire ai cittadini gli strumenti giusti e la possibilità di addentrarsi nel modo della scienza permettendo loro di conoscere il lungo percorso necessario per la nascita di un farmaco, dal bancone del laboratorio a quello della farmacia».
Cosa fai nel tempo libero?
«Amo viaggiare, visitare e conoscere posti nuovi: uno dei miei sogni sarebbe vedere l’aurora boreale».
Quando è stata l’ultima volta che ti sei commossa?
«Due mesi fa, quando è nato il mio meraviglioso bambino e gli ho cantato la prima ninna nanna».
La cosa di cui hai più paura?
«Ho paura di perdere le persone che amo, per il senso di vuoto che lascerebbero nella mia vita».
Sei felice della tua vita?
«In questo momento non potrei chiedere di più».
Il tuo libro o film preferito?
«Il libro che più amo è “Cent’anni di solitudine” di Gabriel Garcia Marquez, mentre il film che secondo me rappresenta la nostra condizione di ricercatori in Italia al meglio è “Smetto quando voglio”».
Con quale personaggio famoso ti piacerebbe andare a cena una sera?
«Mi piacerebbe incontrare le grandi scienziate del passato, come Maria Sk?odowska-Curie o Rita Levi Montalcini: chiederei loro quali sono state le difficoltà che hanno dovuto affrontare, in quanto donne, per raggiungere i loro risultati e ottenere la giusta considerazione».
Agnese Collino
Biologa molecolare. Nata a Udine nel 1984. Laureata in Biologia Molecolare e Cellulare all'Università di Bologna, PhD in Oncologia Molecolare alla Scuola Europea di Medicina Molecolare (SEMM) di Milano, Master in Giornalismo e Comunicazione Istituzionale della Scienza all'Università di Ferrara. Ha lavorato nove anni nella ricerca sul cancro e dal 2013 si occupa di divulgazione scientifica