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Francesca Borsetti
pubblicato il 05-07-2023

Tumore al seno: il ruolo delle cellule adipose e immunitarie



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Studiare l’interazione tra cellule adipose e immunitarie nel microambiente tumorale potrebbe aprire la strada allo sviluppo di farmaci innovativi: la ricerca di Antonietta Liotti

Tumore al seno: il ruolo delle cellule adipose e immunitarie

Il tumore al seno è la neoplasia più diffusa nelle donne e la sua incidenza è aumentata tra le persone in condizione di obesità. Diverse evidenze sperimentali suggeriscono che il tessuto adiposo adiacente alle cellule mammarie rappresenti un vero e proprio organo endocrino, capace di secernere molecole importanti nella progressione tumorale e nella risposta immunitaria.

Antonietta Liotti è ricercatrice presso l’Istituto di Endocrinologia e Oncologia Sperimentale del CNR di Napoli, dove studia l’interazione tra cellule tumorali, cellule adipose e un particolare tipo di linfociti T, chiamate T regolatorie (Treg). Lo scopo del suo lavoro è valutare il ruolo delle molecole rilasciate dal tessuto adiposo nell’attivazione delle cellule Treg e nella progressione tumorale. Il suo progetto sarà sostenuto per il 2023 da una borsa di ricerca di Fondazione Umberto Veronesi nell’ambito del progetto PINK IS GOOD.

 

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Antonietta, come nasce l'idea del vostro lavoro?

«L’idea di questo lavoro nasce dalla sinergia di competenze interne al nostro gruppo di ricerca e ha lo scopo di studiare il legame tra cancro al seno, il tessuto adiposo (e quindi l’obesità) e cellule immunitarie infiltranti il tessuto tumorale, in particolare le cellule T regolatorie (Treg). Mi sono occupata dello studio della fisiopatologia del tessuto adiposo fin dall’inizio del dottorato e negli ultimi anni mi sono focalizzata sul ruolo degli adipociti e sulla loro capacità di “modificare” il microambiente (la zona in cui si sviluppa la neoplasia) in senso favorevole tumorale».

Perché avete scelto di orientarvi su questa ricerca?

«Il cancro al seno è caratterizzato dall’infiltrazione da parte delle cellule del sistema immunitario, oltre che dalla stretta vicinanza al tessuto adiposo. Tra le cellule del microambiente tumorale vi è una particolare sottoclasse di linfociti T, note come cellule T regolatorie (Treg), fondamentali nel mantenimento della corretta risposta immunitaria. Il nostro gruppo ha un’esperienza consolidata nello studio della funzione e dei processi metabolici che ne regolano la funzionalità. A oggi, ancora non sono chiari i meccanismi attraverso cui le Treg vengano “richiamate” nel tessuto tumorale e in che modo il tessuto adiposo possa regolare i processi metabolici che permettono la loro corretta funzionalità».

Quali prospettive apre, anche a lungo termine, per la salute umana?

«L’identificazione dei meccanismi molecolari alla base del controllo metabolico delle Treg nel tessuto tumorale potrebbe fare luce su nuovi possibili bersagli terapeutici e quindi contribuire allo sviluppo di farmaci innovativi per il cancro al seno».

Sei mai stata all’estero per un’esperienza di ricerca?

«Sono stata all’estero solo per partecipare a eventi o congressi. La scelta di andare all’estero non implica solo la sfera lavorativa, ma anche quella personale. Credo molto nella ricerca fatta in Italia e ho investito tutta la mia energia nello svolgerla al meglio».

Ricordi l’episodio in cui hai capito che la tua strada era quella della scienza?

«Non c’è un episodio o un momento particolare della mia vita che mi ha portato a intraprendere questa strada. Credo che sia un qualcosa cresciuto in me nel tempo, a partire dallo studio della chimica e della biologia durante il liceo».

Antonietta, c’è un momento della tua vita professionale che vorresti incorniciare e uno invece da dimenticare?

«Un momento che vorrei incorniciare è stato il giorno in cui mi sono laureata: la soddisfazione per il traguardo raggiunto, la gioia, l’emozione e l’orgoglio negli occhi dei miei genitori sono un ricordo che porterò con me per sempre. Per fortuna non ho invece vissuto momenti particolari da voler dimenticare».

Come ti vedi fra dieci anni?

«Sicuramente invecchiata! Sinceramente spero di sentirmi realizzata professionalmente, magari alla guida di un gruppo di ricerca e senza più la sensazione di precarietà che provo ora».

Cosa ti piace di più della ricerca?

«La voglia di conoscenza e di capire i meccanismi alla base dei processi della vita. Chi fa ricerca si mette sempre in gioco, con lo studio e con le idee. Credo sia l’aspetto più stimolante!».

 E cosa invece eviteresti volentieri?

«La precarietà: è il sottofondo che mi accompagna in ogni giornata lavorativa».

Se ti dico scienza e ricerca, cosa ti viene in mente?

«Un connubio indissolubile! La scienza e la ricerca sono le due facce della stessa medaglia».

 Hai famiglia?

«Si, sono sposata e ho una bimba di tre anni». 

Se un giorno tua figlia ti dicesse che vuole fare la ricercatrice, come reagiresti?

«La sosterrei sicuramente. Le direi che è un lavoro bellissimo e pieno di soddisfazioni, ma che non è una strada facile da intraprendere».

C’è una figura che ti ha ispirato nella tua vita?

«I miei genitori: hanno sempre creduto in me e mi hanno sostenuto in ogni momento. Se oggi posso fare questo lavoro è anche grazie a loro, per il supporto che mi forniscono con mia figlia durante le ore lavorative».

Cosa avresti fatto se non avessi fatto la ricercatrice?

«La pasticcera».

Pensi che ci sia un sentimento antiscientifico in Italia?

«Non credo ci sia un vero e proprio sentimento antiscientifico. Credo, però, che non si comprenda fino in fondo la figura professionale del ricercatore e l’importanza di ogni piccola scoperta scientifica».

Cosa fai nel tempo libero?

«Ho sempre amato i film e andare al cinema. Ora dedico tutto il mio tempo libero a mia figlia e alla mia famiglia, cercando di fare ogni volta qualche nuova esperienza».

Quando è stata l’ultima volta che ti sei commossa?

«Sembrerà una risposta banale, ma l’ultima volta è stata quando ho ricevuto la comunicazione dell’assegnazione della borsa della Fondazione Veronesi. È un traguardo professionale estremamente prestigioso».

C’è una cosa che vorresti assolutamente fare almeno una volta nella vita?

«Un viaggio in Giappone».

Qual è la cosa di cui hai più paura?

«Al momento, la precarietà del lavoro di ricercatore».

Sei soddisfatta della tua vita?

«Si, sono soddisfatta».

La cosa che più ti fa arrabbiare?

«La maleducazione».

 E quella che ti fa ridere a crepapelle?

«Mia figlia quando inventa parole nuove».

Hai un ricordo a te caro di quando eri bambina?

«Preparare i dolci natalizi con mia mamma e le mie sorelle».

Cosa vorresti dire alle persone che scelgono di donare a sostegno della ricerca scientifica?

«Grazie! È solo grazie a loro se si può investire sul futuro. Il sostegno alla ricerca per noi ricercatori è di fondamentale importanza: anche la più piccola scoperta scientifica produce speranza per le malattie più difficilmente trattabili».

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