La ricercatrice Maria De Luca lavora per comprendere come l'alterazione (dentro e fuori dalle cellule) possa influenzare lo sviluppo e condizionare la progressione della neoplasia più diffusa tra le donne
l laboratorio è il grande amore di Maria De Luca, pugliese di 34 anni che si è laureata in Biotecnologie mediche, molecolari e cellulari all’Università Sapienza di Roma. A seguire un Master di secondo livello in bioinformatica, applicazioni biomediche e farmaceutiche, sempre alla Sapienza, più un dottorato in scienze morfologiche molecolari conseguito all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma. Adesso lavora, sostenuta da una borsa di ricerca della Fondazione Umberto Veronesi, presso il dipartimento di scienze e tecnologie biologiche e ambientali all’Università del Salento (Lecce): il suo ambito di ricerca è il tumore al seno, la neoplasia più diffusa nelle donne. Nonostante i grandissimi progressi nella cura di questo tumore, da cui oggi si guarisce nell’87 per cento dei casi, rimane ancora la prima causa di morte per tumore nelle donne. Per questo, la ricerca scientifica non si deve fermare.
Maria, quale aspetto della biologia del tumore al seno stai studiando?
«Il mio progetto è finalizzato a caratterizzare un meccanismo della regolazione dell’acidità dentro e fuori dalle cellule. Questa è regolata da proteine che funzionano come “pompe” portando fuori dalle cellule i protoni. Se non funzionano bene, l’equilibrio acidico è alterato e questo può contribuire alla genesi e alla progressione tumorale, nonché alla formazione di metastasi. Nel tumore al seno, è stata riscontrata una forte correlazione fra aumento dell’attività della pompa, chiamata V-ATPasi, e aggressività delle cellule tumorali».
Quali prospettive apre il tuo progetto per le future applicazioni alla salute umana?
«Proprio in virtù del coinvolgimento della V-ATPasi nella biologia del tumore al seno, è considerata un promettente bersaglio terapeutico: capirne i meccanismi molecolari che la regolano potrebbe essere d’aiuto per sviluppare e ottimizzare nuovi protocolli di cura».
Perché hai scelto di intraprendere la strada della ricerca?
«Facendo ricerca scientifica posso coltivare la mia passione per la scienza e soprattutto ho la possibilità di aiutare gli altri».
Il tuo momento professione più bello?
«Il giorno in cui fu pubblicato il mio primo lavoro quando ancora mancavano alcune settimane alla mia laurea. Fu una grande soddisfazione che ripagava tutti i sacrifici fatti per conciliare il lavoro in laboratorio con gli studi universitari».
Cosa, nel tuo lavoro, eviteresti volentieri?
«L’incertezza per la ricerca continua di finanziamenti. Adesso che sono mamma di una bambina di un anno e mezzo, ho molta più paura della precarietà».
Qual è per te il bello della ricerca?
«L’imprevedibilità, l’attesa per il risultato di un esperimento, l’assenza di monotonia e la continua possibilità di imparare cose nuove».
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Chiara Segré
Chiara Segré è biologa e dottore di ricerca in oncologia molecolare, con un master in giornalismo e comunicazione della scienza. Ha lavorato otto anni nella ricerca sul cancro e dal 2010 si occupa di divulgazione scientifica. Attualmente è Responsabile della Supervisione Scientifica della Fondazione Umberto Veronesi, oltre che scrittrice di libri per bambini e ragazzi.