L'esposizione allo stress durante la gestazione è un fattore di rischio per i nascituri. Sarà possibile mitigare questi effetti con un approccio nutrizionale? La ricerca di Rodrigo Orso
Lo stress rappresenta una risposta del nostro organismo nei confronti di eventi, situazioni o valutati come eccessivi o pericolosi. La risposta allo stress può essere vantaggiosa, ma una situazione di stress cronico andrebbe invece monitorata con attenzione. Durante il periodo prenatale, in particolare, l’esposizione allo stress cronico è considerata un fattore di rischio per l’insorgenza di disturbi psichiatrici della prole età adulta – tra cui disturbi dell’umore e della socialità.
Rodrigo Orso è ricercatore presso l’Università degli Studi di Milano, dove studia la possibilità di mitigare gli effetti negativi dello stress prenatale attraverso l’utilizzo di uno specifico regime alimentare. Il progetto è sostenuto per il 2023 da una borsa di ricerca di Fondazione Umberto Veronesi.
Rodrigo, raccontaci qualcosa in più sul tuo progetto.
«L’obiettivo del nostro progetto è quello di sviluppare un intervento di tipo “nutrizionale” per contrastare gli effetti negativi dello stress in gravidanza. Diversi studi mostrano come questa condizione sia un fattore di rischio per l’insorgenza di problemi legati alla socialità (sociability deficits, N.d.R.) e ai disturbi dell’umore, tra cui sintomi simili alla depressione».
Dove nasce la vostra idea?
«Il razionale del progetto si basa su dati precedenti legati a modelli animali, che hanno mostrato una maggiore insorgenza di problemi legati alla socialità in animali esposti a stress durante la gestazione. Al tempo stesso, in passato, ho studiato gli effetti della dieta chetogenica (una specifica terapia dietetica, somministrata sotto controllo medico, che prevede un alto contenuto di grassi e proteine e un basso contenuto di carboidrati, N.d.R.)».
Cosa prevedete per l’anno in corso?
«Vorrei esplorare i possibili effetti benefici della dieta chetogenica su modelli animali di topo sottoposti a stress prenatale, studiando i meccanismi biologici legati allo sviluppo del cervello della prole. In particolare, studieremo due aree specifiche dei nascituri – la corteccia prefrontale e l’amigdala – fino all’età giovanile, grazie a tecniche di analisi genomica e metabolica. Inoltre, verranno rilevati i possibili “miglioramenti” nei comportamenti sociali negli animali sottoposti a questa dieta».
Quali sono le possibili ricadute a lungo termine del vostro lavoro?
«Anzitutto aumentare le nostre conoscenze dello sviluppo del sistema nervoso in relazione allo stress. In futuro, se il progetto avrà successo nei modelli animali, si potrà pensare di valutare un trattamento anche nell’uomo».
Rodrigo, l’Italia non è un luogo facile per chi fa ricerca: qual è il tuo percorso?
Ho lasciato il Brasile a causa della carenza di fondi e per trovare nuove opportunità di lavoro; anche se l’Italia non ha le migliori condizioni al mondo per fare ricerca mi ha comunque permesso di portare avanti delle attività scientifiche significative. Inoltre, mia moglie è europea e lavora in Italia, è stata una grande opportunità per vivere insieme. La mia esperienza per ora è estremamente positiva. Ovviamente cambiare Paese è un grande cambiamento e non tutto è stato facile, ma ci sono molti aspetti culturali simili tra il Brasile e l’Italia, non è stato difficile adattarmi».
Perché hai scelto di diventare un ricercatore?
«Mi affascina l’idea di poter fare ogni giorno qualcosa di differente o di nuovo, e che quello che faccio possa condurre a una scoperta importante. Ho deciso di diventare ricercatore quando ho vinto una borsa di studio durante l’università, grazie alla quale ho frequentato un laboratorio per un anno in Canada. Ho scoperto la vita “da scienziato” e ho realizzato cosa volevo fare per il resto della vita. La ricerca rappresenta una opportunità di scoperta e innovazione per l’uomo e, per me nello specifico, gran parte di ciò che avviene nella mia vita».
Percepisci un sentimento “antiscientifico” o sfiducia nel tuo lavoro?
«Sono in Italia da un periodo relativamente breve e non mi è facile capire a fondo la percezione generale degli italiani verso la scienza. In Brasile, invece, la situazione è molto complicata, in particolar modo a causa dei governi degli ultimi anni. C’è una fiducia bassa o assente rispetto alla figura del ricercatore, e un sentimento antiscientifico crescente nella popolazione».
Come credi che si possa invertire questa tendenza?
«Credo che uno degli strumenti più efficaci per migliorare la relazione tra ricercatori e “pubblico” sia lavorare sulla comunicazione. Dovremmo comunicare i “dati” che provengono dalla ricerca non solo alla comunità scientifica, ma anche utilizzando i social media e un linguaggio che risulti più interessante per il pubblico generalista».
Dove ti vedi tra dieci anni?
«Vorrei avere un mio gruppo di ricerca, non so dove, ma sono pronto a scoprire nuovi Paesi»
I tuoi pregi?
«Dicono che io sia bravo a trovare soluzioni, a lavorare in gruppo e a pensare in maniera critica».
E i tuoi difetti?
«Sono impaziente, disorganizzato e con una tendenza alla procrastinazione».
Un sogno nel cassetto?
«Vedere l’aurora boreale in Norvegia».
Ci raccontavi di tua moglie.
«Sì, mi sono sposato da poco ed entro la fine del 2023 vorremmo fare una cerimonia con i nostri amici più stretti in Brasile. Non abbiamo ancora figli e probabilmente la situazione non cambierà a breve».
Qualche hobby o sport?
«Mi piace uscire con mia moglie e viaggiare, quando ho tempo libero. Sfortunatamente non pratico sport, ma mi piace giocare ai videogames».
Cosa vorresti direi ai nostri donatori e sostenitori?
«Desidero fargli sapere quanto è importante il loro supporto alla ricerca, e che le donazioni sono la chiave per finanziare ricerche che potranno aiutare tutta la nostra società».