Alcuni piccoli RNA potrebbero fungere da marcatori o bersagli terapeutici per diminuire il rischio di complicanze dovute alla valvola aortica bicuspide: è quanto cerca di chiarire Silvia Pulignani
La bicuspidia aortica rappresenta la più frequente anomalia cardiaca congenita, presente nell'1-2% della popolazione: consiste nella mancanza di una cuspide, uno dei tre lembi che contribuiscono ad aprire e chiudere la valvola aortica. La maggior parte degli adulti affetti riportano gravi complicanze, come la dilatazione dell’aorta toracica ascendente, la principale arteria del corpo. Questa rappresenta a sua volta un fattore di rischio per la dissecazione aortica acuta, una silenziosa ma grave condizione per cui lo strato interno dell’aorta si lacera e consente al sangue di fluire tra le pareti dell’arteria, con il rischio di una rottura fatale.
Le dimensioni aortiche possono quindi essere un fattore di rischio importante, ma la loro utilità nel predire la probabilità di una dissecazione aortica acuta è limitata: numerosi casi infatti colpiscono soggetti con un diametro aortico nei limiti della normalità. Sono quindi necessari ulteriori studi per definire meglio i meccanismi cellulari e molecolari nella bicuspidia aortica, al fine di individuare i pazienti a maggior rischio di eventi acuti. Originaria di Viareggio, Silvia Pulignani studia questi aspetti con il sostegno di Fondazione Umberto Veronesi, presso l’Istituto di Fisiologia Clinica del CNR di Pisa.
Silvia, su cosa si concentra il tuo progetto di ricerca?
«Numerose evidenze sperimentali suggeriscono un ruolo cruciale di alcuni piccoli RNA (detti microRNA) nella patologia associata alla valvola aortica bicuspide, sebbene i risultati ottenuti rimangano ancora oggi contrastanti. I microRNA regolano diversi processi fisiologici e patologici, e data la loro stabilità, facilità di rilevamento e specificità tissutale e cellulare rappresentano anche promettenti marcatori clinici. Il mio progetto punta a definire il ruolo di alcuni microRNA, precedentemente identificati dal nostro laboratorio mediante tecnologie di sequenziamento di nuova generazione, nello sviluppo dell’aortopatia associata alla bicuspidia aortica. Inoltre vorrei valutare i livelli di questi microRNA in campioni di plasma di soggetti con valvola aortica bicuspide rispetto a quelli con una normale valvola tricuspide: l’obiettivo è identificare un set di microRNA che possano essere utilizzati come marcatori molecolari o come potenziali bersagli terapeutici per questa patologia».
Quali prospettive si potranno quindi aprire?
«Una migliore conoscenza dei meccanismi molecolari coinvolti nell’aortopatia associata a bicuspidia aortica potrà consentire di instaurare adeguate misure terapeutiche e preventive. Dati i vantaggi derivanti dall’utilizzo di marcatori sierici, i microRNA potrebbero essere introdotti nella pratica clinica come strumento diagnostico e di monitoraggio della malattia».
Silvia, nel tuo percorso di ricerca sei stata anche in Svezia…
«Esatto: durante il mio dottorato di ricerca ho svolto un periodo di formazione presso il Karolinska Institutet di Stoccolma. In particolare sono stata coinvolta in un progetto volto a definire l’influenza dei fattori emodinamici sui meccanismi molecolari ed epigenetici che possono contribuire all’insorgenza dell’aneurisma dell'aorta ascendente nei pazienti con valvola aortica bicuspide».
Cosa ti ha spinto ad andare?
«La possibilità di confrontarmi con una realtà multiculturale e di far parte di gruppi di lavoro ricchi di competenze ed expertise diverse, per poter sfruttare nuove conoscenze e infrastrutture all’avanguardia. Questa esperienza mi ha dato modo di crescere e mettermi alla prova, portandomi ad avere più fiducia in me stessa e nelle mie capacità. Ho conosciuto persone fantastiche, che mi hanno insegnato tanto e con le quali ho tuttora un rapporto. Per questo l’Italia non mi è sembrata poi così lontana: mi sono sempre sentita a casa».
Come mai hai intrapreso la strada della ricerca?
«Sinceramente non ricordo un momento preciso in cui ho preso questa decisione. La scelta dell’università è avvenuta un po’ per caso: quando sono uscita dalle scuole superiori avevo le idee molto confuse riguardo al mio futuro. Mio cognato un giorno mi disse: “Io ti vedo con il camice”. E così è stato! Sono sempre stata una persona curiosa, volenterosa e con molta voglia di imparare, e la ricerca in questo mi è venuta incontro».
Il momento più memorabile e quello più difficile della tua vita professionale?
«Il mondo della ricerca mi ha regalato molti momenti speciali, e la soddisfazione negli occhi della mia famiglia per i traguardi raggiunti nel corso degli anni ha rappresentato il regalo più grande. Certo, fare scienza non è una passeggiata: di momenti duri ce ne sono stati e ce ne saranno. Spero che la passione e l’entusiasmo per questo lavoro mi diano sempre l’energia necessaria per andare avanti senza scoraggiarmi».
Se ti dico scienza e ricerca, cosa ti viene in mente?
«Due tasselli di un puzzle, necessari l’uno all’altro».
Qual è il loro lato più bello?
«La libertà di pensiero, la possibilità di mettere in pratica le proprie idee e di dare il proprio contributo a nuove scoperte scientifiche».
E quello invece più brutto?
«La continua ed estenuante ricerca di finanziamenti, e il precariato: in Italia ha raggiunto dimensioni preoccupanti. Un incremento dei finanziamenti pubblici, così come una diversa politica di reclutamento del personale potrebbero contribuire ad instaurare un modello virtuoso e più dinamico di ricerca».
Cosa fai nel tempo libero?
«Quando non sono in laboratorio solitamente sono in cucina a sfornare qualche dolce. È una mia grande passione: probabilmente se non avessi seguito la strada della ricerca avrei fatto la pasticcera».
Quando è stata l’ultima volta che hai pianto?
«Mi commuovo sempre di fronte ai lieto fine!».
La cosa che ti fa ridere a crepapelle?
«L’ingenua saccenza dei miei piccoli nipoti».
Il tuo film preferito?
«”Saving Mr. Banks”».
Se potessi scegliere una qualsiasi persona, con chi ti piacerebbe andare a cena una sera e cosa ti piacerebbe chiedergli?
«Vorrei tanto andare a cena con mio nonno, che purtroppo da diversi anni non fa più parte della mia vita. Lui ha sempre creduto in me e mi ha sempre incentivata ad andare avanti nonostante le difficoltà, ma non ha avuto la possibilità di vedermi crescere. Vorrei tanto sapere se alla fine l’ho reso orgoglioso di me».
Agnese Collino
Agnese Collino
Biologa molecolare. Nata a Udine nel 1984. Laureata in Biologia Molecolare e Cellulare all'Università di Bologna, PhD in Oncologia Molecolare alla Scuola Europea di Medicina Molecolare (SEMM) di Milano, Master in Giornalismo e Comunicazione Istituzionale della Scienza all'Università di Ferrara. Ha lavorato nove anni nella ricerca sul cancro e dal 2013 si occupa di divulgazione scientifica