Un nuovo protocollo con la risonanza magnetica per spiare in vivo il tumore in maniera non invasiva: è la ricerca condotta a Torino dalla nostra ricercatrice Enza di Gregorio
Una donna al lavoro per la salute maschile: è Enza Di Gregorio, biotecnologa siciliana, nata 31 anni fa a Salemi (Trapani), che all'Università di Torino sta mettendo a punto una nuova tecnica di imaging per il tumore della prostata. Questa neoplasia è il secondo tumore più diffuso negli uomini: in Italia sono oltre 36mila le nuove diagnosi ogni anno. Grazie ai progressi della ricerca medica, questo tumore non spaventa più come un tempo: le probabilità di sopravvivenza a cinque anni dalla diagosi sono del 90%. Tuttavia, in alcuni casi anche il tumore alla prostata può essere aggressivo, e rispondere meno bene alla chemio e alla radioterapia. Uno dei fattori che influenzano l’aggressività e la ridotta risposta dei tumori solidi alle terapie è l’ipossia, cioè la scarsità di ossigenazione in alcune aree della massa tumorale e del microambiente intorno, causata da scarsa vascolarizzazione.
Enza, in cosa consiste la tua ricerca?
«L’idea alla base è quella di sviluppare metodiche di imaging non invasive per la diagnosi precoce e dettagliata del tumore alla prostata, senza la necessità di ricorrere a biopsie invasive. Sto mettendo a punto, utilizzando modelli murini di tumore alla prostata, un sistema per monitorare mediante risonanza magnetica le zone del tumore, soprattutto il grado di vascolarizzazione; per questo sto sviluppando nuovi agenti di contrasto per risonanza che si legano ai globuli rossi, in modo da visualizzare i vasi sanguigni e il grado di ossigenazione del tumore. Questo dovrebbe permettere di ottenere informazioni sul microambiente del tumore in vivo: volume vascolare, presenza di ipossia, dimensioni del tumore, tutte informazioni preziose sia per studiare alcuni fenomeni non del tutto compresi come l’ossigenazione del tumore, sia per sviluppare una metodica per seguire il tumore nella sua progressione e nella risposta alle terapie».
Un progetto che supera i confini delle Alpi…
«Sì, recentemente abbiamo iniziato una collaborazione con il centro di ricerca Clinatec di Grenoble in Francia per testare agenti di contrasto per risonanza magnetica in modelli murini di glioblastoma, per applicare quindi il metodo a un più ampio spettro di tumori».
Quali prospettive apre la tua ricerca sulla salute maschile?
«L’obiettivo finale è lo sviluppo di nuovi metodi di diagnosi non invasivi e valutazione precoce dello stadio del tumore prostatico, per guidare i medici verso la scelta della terapia migliore e specifica per ciascun paziente. Così si potrà diminuire l’impiego di terapie invasive e costose, spesso correlate da molti effetti collaterali, in pazienti ai quali il loro impiego non sarebbe funzionale».
Sono già stati ottenuti risultati?
«Stiamo già lavorando alla stesura di un primo articolo scientifico dove descriviamo il protocollo di risonanza magnetica per immagini da noi messo a punto per la misura del volume vascolare e del grado di ipossia nel tessuto tumorale».
In laboratorio hai anche trovato l’amore…
«Sì, io e il mio compagno, che presto sarà mio maritom lavoriamo nello stesso gruppo di ricerca e collaboriamo spesso agli stessi progetti. Ciò rende possibile passare del tempo insieme, visto che il lavoro occupa la maggior parte del nostro tempo, e soprattutto a capirci reciprocamente».
Quando hai capito che la tua strada era quella della scienza?
«Credo di avere capito che avrei intrapreso questa strada già da bambina e in particolare quando ho cominciato a studiare scienze. Sono rimasta subito affascinata dalla possibilità di trovare spiegazioni razionali agli eventi che ci circondano».
Cosa invece eviteresti volentieri nella pratica scientifica?
«Eviterei il più possibile di lavorare con gli animali anche se sono consapevole che talvolta è strettamente necessario. Fortunatamente negli ultimi anni il loro impiego è stato notevolmente ridotto grazie all’utilizzo di modelli cellulari, simulazioni al computer e di metodi di diagnostica per immagine, che permettono di ottenere dal singolo animale tantissime informazioni, riducendo così il numero di animali necessari per uno studio sperimentale».
Come ti vedi fra dieci anni?
«Vorrei continuare a fare questo lavoro in Italia. Purtroppo la situazione della ricerca nel nostro paese non permette di fare piani a lungo termine. La condizione dei ricercatori è troppo precaria: la figura del ricercatore è poco conosciuta e spesso non considerata. Molti giovani “fuggono” all’estero per cercare maggiore stabilità e superare il profondo senso di insoddisfazione che procura fare questo lavoro in una nazione che poco investe sui giovani, sulla formazione e sulla ricerca».
Quale figura che ti ha ispirato nella tua vita personale e/o professionale?
«Principalmente grandi donne che si sono dedicate alla scienza con passione e profonda dedizione, affrontando grandi momenti di difficoltà. I primi nomi che mi vengono in mente sono Rita Levi Montalcini, Marie Curie e Rosalind Franklin, ma la lista potrebbe essere molto più lunga».
Se dovessi scommettere su un filone di ricerca biomedica che nei prossimi decenni avrà un grosso impatto per la salute su cosa punteresti?
«Punterei sicuramente sulla diagnosi precoce. Negli ultimi anni c’è stato un enorme passo avanti nello sviluppo tecnologico e sono state sviluppate nuove tecniche di diagnostica per immagine e molecolare. Lo sviluppo di queste metodiche è talmente rapido e prorompente che è possibile immaginare che fra cinquant'anni sarà facilmente individuabile l’insorgenza di una patologia a stadi veramente precoci, e potrà fare la differenza nell’esito delle terapie».
Qual è per te il senso profondo della ricerca?
«Fare ricerca significa cercare pazientemente in mezzo al caos i pezzi che compongono un puzzle, immaginando ciò che si nasconde agli occhi. Fare ricerca è molto più di un lavoro: Science is as a candle in the dark».
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Chiara Segré
Chiara Segré è biologa e dottore di ricerca in oncologia molecolare, con un master in giornalismo e comunicazione della scienza. Ha lavorato otto anni nella ricerca sul cancro e dal 2010 si occupa di divulgazione scientifica. Attualmente è Responsabile della Supervisione Scientifica della Fondazione Umberto Veronesi, oltre che scrittrice di libri per bambini e ragazzi.