Francesco Scavello studierà il ruolo della proteina sRAGE, coinvolta nella fibrosi cardiaca legata all’invecchiamento
Le malattie cardiovascolari - come infarto acuto del miocardio, angina pectoris e ictus - rientrano tra le principali legate all’avanzare dell’età. Un cuore che «invecchia» va incontro a cambiamenti sia strutturali che funzionali: in particolare, nella popolazione più anziana si riscontra un’aumentata fibrosi (cioè una maggiore quantità di tessuto connettivo per la riparazione delle cellule danneggiate) rispetto ad un cuore più giovane.
RAGE è una proteina che si lega a diverse molecole coinvolte nell’insorgenza di malattie correlate all'età. Alcuni studi recenti mostrano come, sia nel topo sia nell’uomo, la concentrazione della proteina RAGE solubile nel sangue (sRAGE) diminuisce con l’aumentare dell’età, favorendo la progressione dell’invecchiamento cellulare a livello del tessuto cardiaco e una maggiore fibrosi.
Francesco Scavello, ricercatore sostenuto da Fondazione Umberto Veronesi, lavora al Centro Cardiologico Monzino di Milano per capire quale ruolo giochi sRAGE nella fibrosi cardiaca indotta dall’invecchiamento.
Francesco, raccontaci del tuo progetto. Di cosa ti occuperai?
«Il mio progetto si pone l’obiettivo di determinare i meccanismi molecolari in cui è coinvolta la proteina sRAGE. In particolare, mi occuperò di studiare alcune linee cellulari cardiache e, in seguito, estenderò queste valutazioni anche in vivo su modelli di topo con un cuore “invecchiato”. Infine, analizzerò i livelli di sRAGE nel plasma di individui centenari, per capire se questa molecola possa essere utilizzata come “indicatore” dello stato di invecchiamento cardiaco nella popolazione generale».
Esistono, a oggi, delle evidenze sul ruolo di sRAGE nell’invecchiamento cardiaco?
«Sì, studiando una popolazione umana sana con età compresa tra 20-90 anni abbiamo recentemente scoperto che i livelli di sRAGE nel circolo sanguigno diminuiscono con l’aumentare dell’età. Questo dato potrebbe suggerire un ruolo determinante di RAGE nell’invecchiamento, tanto da rappresentare un possibile marcatore di diversi fattori di rischio cardiovascolare».
Quali prospettive a lungo termine apre la conoscenza dei meccanismi molecolari legati a sRAGE?
«L’invecchiamento cardiaco è alla base dell’insorgenza di insufficienza cardiaca e infarto del miocardio, patologie di forte interesse per la salute pubblica: l'identificazione di meccanismi protettivi che consentono al cuore di invecchiare "lentamente" potrebbero portare a nuove terapie per ridurre il rischio d’insorgenza di tali patologie. Con questo studio cercheremo di capire se sRAGE come possibile fattore protettivo: inoltre, studiarne più approfonditamente il meccanismo d'azione potrebbe portare a strategie efficaci per contrastare i processi deleteri del rimodellamento del cuore dovuto all’invecchiamento».
Francesco, sei mai stato all’estero a fare un’esperienza di ricerca?
«Sì, ho trascorso un anno in Francia, a Strasburgo».
Cosa ti ha spinto ad andare?
«La spinta principale è stata la volontà di cimentarmi con ambienti, tematiche e contesti diversi da quelli a cui ero abituato».
Cosa ti ha lasciato questa esperienza?
«Mi ha arricchito in più sensi. Dal punto di vista umano, mi sono sentito accolto da una nazione che non era la mia. Inoltre, tale esperienza mi ha dato la possibilità di approcciarmi a discipline molto diverse, consentendomi di ampliare le mie conoscenze. È stata un’esperienza fantastica e ho solo ricordi positivi. Ovviamente, l’Italia mi è mancata! Questa è casa mia, la mia terra e, ovunque io sia stato e sarò, mi mancherà sempre».
Ricordi il momento in cui hai capito che la tua strada era quella della scienza?
«Non ricordo un preciso momento, ma ho sempre saputo che la cosa che mi riesce meglio è studiare. Ho capito quale sarebbe stata la mia strada quando ho iniziato il periodo di tesi sperimentale. Ragionare, cercare, tentare e ritentare, fino a quel magico momento in cui si comprende che il puzzle inizia a prendere forma: è quello che più mi spinge a fare questo mestiere».
Un momento della tua vita professionale che vorresti incorniciare.
«La discussione della mia tesi di dottorato».
Come ti vedi fra dieci anni?
«Non so dove mi porterà la vita ma, senza ombra di dubbio, mi vedo in un laboratorio, magari arrovellato tra mille idee e mille esperimenti, sempre in affanno per le tante cose da fare».
Cosa ti piace di più della ricerca?
«Quello che amo di più è il momento in cui tutto appare chiaro dopo tante ipotesi e numerosi tentativi. Ovviamente, questi momenti non sono molti ma forse, anche questo, li rende unici».
Se ti dico scienza e ricerca, cosa ti viene in mente?
«Passione e sacrificio».
Una figura che ti ha ispirato nella tua vita.
«La figura che mi ha ispirato maggiormente, sia dal punto di vista personale che professionale, è quella di mio padre. Lui faceva un mestiere molto diverso dal mio e che spesso lo assorbiva totalmente. Quando ero ragazzo, non capivo questa totale dedizione al proprio lavoro ma, da quando ho iniziato a fare ricerca, tutto mi è parso più chiaro: l’amore e la passione nei confronti del proprio mestiere sono un privilegio».
Qual è l’insegnamento più importante che ti ha lasciato?
«Fai solo ciò che ami fare e fallo con tutto te stesso senza risparmiarti mai».
Cosa avresti fatto se non avessi fatto il ricercatore?
«Da piccolo, sognavo di fare il calciatore. Poi ho cambiato idea e sarei voluto diventare una rockstar. Più tardi è seguita una forte passione per la biologia, ma non riuscivo a inquadrarla in un mestiere specifico, fin quando non ho scoperto il mondo della ricerca».
In cosa, secondo te, può migliorare la scienza e la comunità scientifica?
«Mi piacerebbe ci fossero maggiori occasioni di confronto e di scambio tra ricercatori esperti in diverse discipline. Questo, sicuramente, produrrebbe nuovi stimoli e nuove prospettive».
Pensi che in Italia ci sia un sentimento di sfiducia intorno alla figura del ricercatore?
«Assolutamente no. Al contrario, spesso noto con piacere che, quando racconto alla gente di cosa mi occupo nella vita, tutti reagiscono in maniera positiva. Sicuramente, la figura del ricercatore è associata alla precarietà e alla mancanza di tutele lavorative».
Cosa fai nel tempo libero?
«Coltivo le mie passioni per il cinema, la musica, lo sport e i viaggi».
Hai famiglia?
«Sì, sono sposato, ma capita spesso che la ricerca rubi molto tempo a mia moglie. Tuttavia sa bene che, seppur amo questo mestiere, rimane lei il più grande amore della mia vita».
La cosa di cui hai più paura e perché.
«A oggi, nulla mi spaventa. Certamente, in passato, la paura di deludere le aspettative mi ha molto condizionato».
Sei felice della tua vita?
«Sì, e la rivivrei nello stesso modo».
La cosa che più ti fa arrabbiare.
«Lo spreco, l’indifferenza e il disimpegno».
Un ricordo a te caro di quando eri bambino.
«Ricordo con grande affetto i posti dove sono cresciuto, ovvero il mare e la campagna dei due paesi dove ho trascorso infanzia e adolescenza. In particolare, non dimenticherò mai il mio quartiere e gli amici più cari».
Parlaci di una «pazzia» che hai fatto.
«Tra quelle menzionabili, una delle cose più folli che ho fatto è stato tagliare i capelli a zero dopo averli fatti crescere a dismisura per anni».
Con quale personaggio famoso ti piacerebbe cenare e cosa vorresti chiedergli?
«Mi affascinano le personalità che hanno cambiato l’ordinarietà delle cose, come Nelson Mandela o Mohamed Alì. Questi uomini dalle grandi personalità, con passione, hanno difeso i loro ideali mettendo a rischio la propria libertà. Per anni, da ragazzo, ho sognato di trascorrere del tempo con il mio idolo musicale Jimi Hendrix, e se avessi la possibilità farei volentieri una cena anche con lui».
Cosa vorresti dire alle persone che scelgono di donare a sostegno della ricerca scientifica?
«Quello che fate è veramente importante, in quanto date l’opportunità a molti di noi, giovani ricercatori, di poter continuare a fare il nostro lavoro e perseguire i nostri sogni. Inoltre, sostenendo la ricerca, permettete la crescita del nostro Paese. Grazie per tutto quello che fate per noi».