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Chiara Segré
pubblicato il 21-07-2014

La mia ricerca? Studiare il tumore al seno triplo negativo per sconfiggerlo



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Il tumore al seno triplo negativo è uno dei più aggressivi e difficili da curare: Giorgia Beffagna, ricercatrice veneziana, studia come trovare nuove soluzioni terapeutiche

La mia ricerca? Studiare il tumore al seno triplo negativo per sconfiggerlo

Una donna per le donne. La vita di Giorgia Beffagna è sempre stata all’insegna della scienza: dopo il liceo scientifico a Mestre, si è laureata in Scienze Biologiche all’Università degli Studi di Padova, città dove si è fermata anche per il Dottorato in Scienze Cardiologiche e Metodologie Cliniche e per la Specializzazione in Genetica Medica.

Attualmente, Giorgia è ricercatrice post dottorato nel Laboratorio di Biomedicina Comparata e Alimentazione dell’Università degli Studi di Padova, diretto dalla Professor Tomaso Patarnello. È una delle vincitrici del bando Pink is Good, il progetto di Fondazione Veronesi dedicato alle donne in tema di prevenzione e cura del tumore al seno.

Il tumore al seno è il più diffuso tra le donne: ogni anno, in Italia, vengono effettuate circa 47.000 nuove diagnosi. Tuttavia, la mortalità per questo tumore è in costante diminuzione: se individuato in fasi precoci, quando il tumore è al di sotto di un centimetro di dimensione, le probabilità di guarigione arrivano al 98%.

Non tutti i tumori al seno sono uguali; ne esistono molti sottotipi, a seconda delle caratteristiche genetiche e molecolari delle cellule maligne, che influenzano e determinano la risposta del tumore alle terapie. Ad esempio, il tumore definito “triplo negativo” è uno dei quelli ancora difficili da curare, anche se identificato in fasi iniziali: le cellule di questo tumore si staccano dalla massa originale fin dalle prime fasi, aumentando il rischio di metastasi.

Inoltre, ad oggi, esistono poche terapie efficaci per combatterlo.

«Il nome “triplo negativo” deriva dal fatto che in questo specifico tipo di tumore al seno, a differenza di altri tumori mammari, le cellule maligne non possiedono sulla loro superficie la proteina HER2, né i recettori per gli estrogeni e per i progestinici» spiega Giorgia.

Le terapie più moderne e mirate per trattare il tumore al seno infatti sono costruite proprio per riconoscere quelle proteine: l’ormonoterapia agisce attraverso i recettori per gli estrogeni o i progestinici mentre molti farmaci “intelligenti”, i cosiddetti anticorpi monoclonali, come il Trastuzumab, riconoscono le cellule maligne attraverso la proteina HER2.

«L’assenza di questi bersagli, nelle cellule del tumore triplo negativo, priva i medici di armi importantissime per combattere la malattia: ecco perché è così difficile curarlo» spiega Giorgia. Occorre quindi trovare delle strategie terapeutiche differenti, o individuare marcatori biologici presenti solo nelle cellule “triple-negative”; è proprio quello che sta facendo Giorgia con la sua ricerca.

 

STUDIARE LE STAMINALI DEL TUMORE

Il tumore triplo negativo è molto aggressivo e genera facilmente metastasi. Le principali responsabili sembrano essere un sottogruppo di cellule maligne, le staminali del cancro. Colpire le cellule staminali tumorali con farmaci specifici è la via più promettente per trovare delle terapie efficaci; sono proprio le cellule staminali che poi generano metastasi, anche quando la paziente è riuscita a sconfiggere il tumore primario.

«Per capire come curare bisogna prima comprendere i meccanismi molecolari alla base» spiega Giorgia «Con la mia ricerca studio nelle staminali del tumore due vie biochimiche di segnalazione; la via di Hippo e quella di Wnt/? catenina. Quando queste vie sono alterate, le cellule si dividono eccessivamente e diventano maligne».

La ricerca di Giorgia ha una particolarità: Giorgia non studia solo le cellule staminali del tumore al seno umano, ma anche quelle feline. «Le gatte non hanno il ciclo mestruale, di conseguenza non producono estrogeni» spiega Giorgia «I tumori nelle gatte, quindi, sono molto simili ai tumori tripli negativi delle donne, che non dipendono dagli ormoni».

Giorgia ha confrontato cosa succede alle vie biochimiche di Hippo e Wnt/b-catenina in cellule in coltura di tumori umani e felini, asportati da gatte operate per tumore, grazie a una collaborazione con le cliniche veterinarie. «Ora sappiamo che le cellule tumorali del gatto sono un buon modello di quello che succede nelle cellule triple negative delle donne» dice Giorgia.

Perché studiare anche il tumore felino, oltre che quello umano?

«Le gatte affette da tumore spontaneo al seno attualmente possono essere curate solo tramite rimozione chirurgica, perché non esistono farmaci efficaci» illustra Giorgia «L’intervento chirurgico, nella donna come nelle gatte, non elimina però il rischio di ricadute da metastasi, che andrebbero trattare con un’adeguata terapia farmacologica».

Una volta sviluppati nuovi approcci farmacologici e terapeutici, le gatte ammalate di tumore mammario sviluppati spontaneamente diventerebbero, durante le terapie veterinarie, un modello naturale per lo studio di terapie avanzate per l’uomo, con un anche importante risvolto etico: ridurre l’impiego di modelli animali da laboratorio.

Giorgia è molto sensibile nei confronti del delicato tema dell’impiego di animali nella ricerca: «Sono vegetariana e amo gli animali. Purtroppo non si può fare a meno dell’impiego di modelli animali a un certo punto della ricerca biomedica, ma nel caso specifico del mio progetto, sono contenta che esista la possibilità di unire la sperimentazione alla possibilità di curare degli animali, riducendo l’impiego di modelli murini».

 

E IN FUTURO?

Oltre a occuparsi della figlia Aurora, 3 anni, a cui dedica tutto il suo tempo libero, Giorgia è determinata a proseguire nella carriera di scienziata. «Studiare e ricercare mi appassiona e non mi vedo a fare altro.

Mi piacerebbe un giorno poter dirigere un gruppo di ricerca, possibilmente in’Università perché questo mi consentirebbe anche di poter insegnare». Per Giorgia infatti, l’insegnamento e la comunicazione della scienza sono essenziali, non solo a giovani studenti e ricercatori, ma anche ai cittadini comuni: «La scienza è il futuro: qualsiasi cosa accadrà, avrà le sue basi nella scienza».

È essenziale quindi che tutti i cittadini abbiano accesso a una corretta informazione scientifica, cosa che oggi, in Italia, fatica ad accadere «Non c’è comunicazione. La gente comune non capisce che cosa fa la ricerca e l’opinione pubblica spesso si basa su informazioni imprecise o sbagliate».

Per Giorgia, è importante che anche gli scienziati imparino a comunicare le loro scoperte con parole semplici ma precise. «Sto pensando, infatti, di frequentare un Master in Comunicazione Scientifica».

Un ricercatore, infatti, non smette mai di studiare e di imparare.

Chiara Segré
Chiara Segré

Chiara Segré è biologa e dottore di ricerca in oncologia molecolare, con un master in giornalismo e comunicazione della scienza. Ha lavorato otto anni nella ricerca sul cancro e dal 2010 si occupa di divulgazione scientifica. Attualmente è Responsabile della Supervisione Scientifica della Fondazione Umberto Veronesi, oltre che scrittrice di libri per bambini e ragazzi.


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