Identificare nelle urine i microRna specifici del tumore alla vescica per sviluppare metodi di diagnosi precoce più efficaci e meno invasivi: è la ricerca che Barbara Pardini porta avanti a Torino
Il tumore alla vescica colpisce 430mila persone ogni anno al mondo. È tre volte più frequente negli uomini che nelle donne ed è il secondo tumore urologico maschile, dopo quello alla prostata. Uno dei fattori di rischio più importanti è il fumo. Nella vescica, infatti, ristagna l’urina, che nei fumatori è piena di sostanze tossiche e cancerogene introdotte col fumo nel circolo sanguigno ed eliminate poi attraverso i reni. Gli uomini in passato fumavano molto di più delle donne, ecco perché oggi sono più spesso colpiti da questa neoplasia. Ma oggi le donne fumatrici hanno quasi raggiunto gli uomini ed è quindi verosimile che in futuro anche le donne saranno molto più colpite da questo tumore. Barbara Pardini è una biologa e ricercatrice post-dottorato, originaria di Lucca ma attualmente a Torino dove, presso l’HUGEF-Human Genetics Foundation nel laboratorio del Professor Giuseppe Matullo, sta svolgendo un progetto di ricerca sul tumore alla vescica.
Barbara, raccontaci un po’ la tua ricerca.
«Mi occupo del ruolo dei microRNA nella predisposizione allo sviluppo dei tumori, soprattutto quello alla vescica. I microRNA sono piccole molecole di RNA che hanno un ruolo fondamentale nel regolare come una cellula esprime i propri geni, e quindi come si comporta, sia in condizioni fisiologiche che patologiche. Il loro ruolo nella tumorigenesi è stato ben compreso solo negli ultimi anni con la descrizione in alcuni tipi di tumore di un’alterata espressione dei microRNA nel tessuto malato. Ogni tessuto e ogni tumore producono specifiche combinazioni di micro-RNA che, una volta “letti” tramite il sequenziamento, possono dare preziosi informazioni sulla presenza e sulle caratteristiche di un tumore. Lo scopo del mio progetto è l’identificazione di alterazioni dell’espressione di microRNA coinvolti nel processo di formazione e sviluppo del tumore della vescica, confrontando campioni di urina di pazienti e di persone sane. L’obiettivo è utilizzare questi micro-RNA come biomarcatori non invasivi di diagnosi e prognosi da misurare nelle urine dei pazienti, riducendo i rischi e i disagi legati alle biopsie. La specificità dei microRNA dovrebbe permettere la caratterizzazione puntuale dei vari stadi di sviluppo del tumore alla vescica e quindi aprire la strada all’implementazione di nuove strategie di cura personalizzata».
In che modo?
«Ci aspettiamo di identificare uno o più microRNA che permettano la caratterizzazione della condizione tumorale e lo stadio di avanzamento del tumore in campioni di urine (che sono a diretto contatto con il sito del tumore). Questa sorta di “firma” molecolare potrebbe essere utilizzata eventualmente per una diagnosi precoce e non invasiva per il paziente e per eventuali applicazioni future nella medicina personalizzata».
Quali tecnologie utilizzi per realizzare il progetto?
«La tecnica con cui vengono analizzati i microRNA è innovativa: si tratta del sequenziamento di nuova generazione (next generation sequencing) che è stata già applicata con successo ai tessuti tumorali ma ancora poco impiegata per analisi nei biofluidi (plasma, siero, urine). Il primo risultato importante per noi è stato quello di riuscire ad eseguire con successo le analisi su campioni di urina, che hanno un contenuto di RNA è molto basso e non si era sicuri che si potessero sequenziare adeguatamente i microRNA. Adesso stiamo applicando la metodologia all’intera casistica di pazienti e controlli sani che abbiamo a disposizione».
Com’è la vita di un ricercatore fuori dal laboratorio?
«Normale, come quella di tante altre persone. Ho molti hobby: faccio sport (ho praticato scherma per molti anni), vado al cinema (sono una fan della saga di Guerre Stellari), ascolto musica e soprattutto mi piace avere tanti amici per casa. Anche mio marito è un ricercatore, e abbiamo vissuto diversi anni a Praga durante il dottorato. Casa nostra sembra un porto di mare! Non passano mai più di 15 giorni senza che non ospitiamo qualcuno (da tutta Europa e Italia, ma anche da altre parti del mondo) o che non andiamo noi in giro. Sono tutti amici o colleghi che abbiamo conosciuto quando stavamo a Praga o che abbiamo conosciuto durante i nostri viaggi o a dei congressi».
Perché hai scelto di intraprendere la strada della ricerca?
«Sin da piccola sono stata una persona curiosa e mi è sempre piaciuto provare in prima persona a far funzionare le cose. Oggi, come ricercatrice, la mia sfida personale è capire sempre di più come funzionano i meccanismi regolatori delle cellule, e in particolare nel caso di malattie come il cancro. È una sensazione indescrivibile quella che provo ogni volta che mi rendo conto di quanto una cosa così piccola come una cellula sia un sistema così altamente regolato!».
Quale figura ha ispirato la tua vita?
«Mio nonno paterno. Negli anni `60 ha fatto il farmacista in Africa per alcuni anni. Ho dei ricordi ancora vivissimi dei suoi racconti di quel periodo, degli animali della savana, delle persone che lui aiutava e delle storie bellissime che gli erano capitate. È grazie alle sue storie e alla sua passione per la natura che ho cominciato a interessarmi alla scienza e alla biologia».
Qual è il momento della tua vita professionale che vorresti incorniciare?
«Quando mi hanno selezionato per partecipare allo Young Scientist Program a Shanghai nel 2009. Cento giovani ricercatori nell`ambito della biologia molecolare sono stati selezionati per ritrovarsi per giori giorni a Shanghai e scambiare le proprie esperienze parlando della loro ricerca. E io ero tra questi!».
Come ti vedi fra dieci anni?
«Spero di continuare a lavorare nella ricerca in maniera più indipendente riuscendo ad avere un gruppo mio e insegnare a persone più giovani le gioie e i dolori della ricerca oncologica».
Cosa ti piace di più della ricerca?
«Il lavoro di squadra che necessita. Io mi ritengo fortunata perché ho sempre trovato colleghi disponibili e competenti e soprattutto ho il privilegio di lavorare con mio marito. Insieme siamo una forza perché ci aiutiamo e sosteniamo a vicenda e nello stesso tempo ci compensiamo nelle nostre debolezze. Gli alti e bassi del nostro lavoro sono più facili da sostenere se si è in due!».
E cosa invece eviteresti volentieri?
«Il dover continuamente pensare a cercare fondi per poter sostenere la propria ricerca. Purtroppo viviamo in un paese che non crede nella ricerca e i pochi fondi messi a disposizione non sono sufficienti per promuovere una ricerca competitiva. Per fortuna ci sono molte fondazioni e associazioni no-profit come la Fondazione Veronesi che fanno la loro parte!».
Se ti dico scienza e ricerca, cosa ti viene in mente?
«Persone spinte da una forza interiore a lavorare tantissimo per capire il perché di certi fenomeni o la ragione di certe malattie. Sono due cose che richiedono totale dedizione e passione e spesso non ricevono il giusto riconoscimento (e non solo in termini economici)».
Qual è per te il senso profondo che ti spinge a fare ricerca?
«L'empatia per le persone, il senso basilare di voler aiutare chi soffre».
@ChiaraSegre
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Chiara Segré
Chiara Segré è biologa e dottore di ricerca in oncologia molecolare, con un master in giornalismo e comunicazione della scienza. Ha lavorato otto anni nella ricerca sul cancro e dal 2010 si occupa di divulgazione scientifica. Attualmente è Responsabile della Supervisione Scientifica della Fondazione Umberto Veronesi, oltre che scrittrice di libri per bambini e ragazzi.