Chiudi
I nostri ricercatori
Chiara Segré
pubblicato il 07-10-2015

Parte dalla natura la lotta contro il tumore al seno



Aggiungi ai preferiti

Registrati/accedi per aggiungere ai preferiti

Miriam Martini, 35 anni, studia i meccanismi molecolari con cui agiscono i tassani, molecole in grado di interferire con la divisione cellulare e molto utilizzati come agenti chemioterapici

Parte dalla natura la lotta contro il tumore al seno

Ottobre è il mese internazionale dedicato alla prevenzione e alla lotta contro il tumore al seno. Una malattia che colpisce una donna su 8; ogni anno sono oltre 1 milione e mezzo le nuove diagnosi al mondo, di cui più di 48.000 solo in Italia. I numeri sono molto alti, ma la mortalità è in costante diminuzione: il tumore al seno non fa più paura come un tempo, grazie ai progressi della ricerca scientifica che in 20 anni ha raddoppiato le guarigioni. Ad oggi, la sopravvivenza a cinque anni per il tumore al seno sfiora il 90% ma può essere anche ben superiore se il tumore è identificato e trattato in fase molto precoce.

Tuttavia, sebbene alcuni pazienti rispondano bene alle nuove terapie a bersaglio molecolare come la terapia ormonale, la chemioterapia rappresenta ancora oggi un’importante opzione terapeutica, soprattutto per alcuni sottotipi di tumore al seno come il triplo negativo. I ricercatori in tutto il mondo sono sempre al lavoro per affinare sempre di più le terapie e identificare quali sono quelle più adeguate di volta in volta a seconda delle caratteristiche personali di ogni paziente.Tra questi c’è anche Miriam Martini, biotecnologa torinese che lavora nel Dipartimento di Biotecnologie Molecolari e Scienze per la Salute dell’Università degli Studi di Torino. Grazie a una borsa di ricerca di Fondazione Veronesi nell’ambito del progetto Pink is Good, quest’anno Miriam ha potuto portare avanti il suo progetto di ricerca sul tumore al seno.

Miriam, parlaci un po’ della tua linea di ricerca.

«Il mio obiettivo è capire meglio il meccanismo attraverso cui, nel tumore mammario, agiscono i tassani, agenti chemioterapici naturali isolati dal tasso, conosciuto anche col nome di “albero della morte”.I tassani sono agenti anti-mitotici, cioè bloccano la divisione cellulare, che nei tumori è alternata e avviene troppo frequentemente e senza controllo. In particolare, i tassaniinterferiscono con i microtubuli, i “binari” che guidano i cromosomi durante la divisione cellulare.Recentemente, il mio gruppo di ricerca ha identificato una proteina, chiamata PI3K-C2A, che regola i microtubuli durante la divisione cellulare. Alcuni tumori mammari possiedono bassi livelli di PI3K-C2A, e sono più aggressivi e proliferativi.Tuttavia questa perdita di PI3K-C2A rappresenta il tallone d’Achille delle cellule tumorali poiché risultano più sensibili alla terapia con itassani».

Un progetto che va a indagare le vie biochimiche più intricate all’interno delle cellule. Come i risultati potranno essere utili alla clinica?

«La conoscenza dei meccanismi di azione dei chemioterapici è essenziale per fornire informazioni sulla probabilità di risposta delle pazienti; nel nostro caso particolare, aiutare i medici a capire in anticipo quali pazienti, sulla base dei livelli di proteina PI3K-C2A nelle cellule tumorali, hanno la maggiore probabilità di risposta alla una chemioterapia con i tassani, nella duplice ottica di massimizzare l’efficacia terapeutica ed evitare invece effetti collaterali inutili in soggetti che risponderebbero meno. Poter prevedere in anticipo la risposta del paziente e non solo a terapia iniziata è uno degli obiettivi della medicina di precisione del prossimo futuro».

Perché hai scelto di intraprendere la strada della ricerca?

«Da bambina volevo diventare archeologo nella Valle dei Re: ho sempre avuto la propensione ai lavori di ricerca e di scoperta. Dopo il liceo mi sono iscritta al test di Biotecnologie e non mi sono nemmeno posta il problema di cosa avrei fatto se non lo avessi passato. Volevo fare ricerca!».

Un momento della tua vita professionale che vorresti incorniciare

«Probabilmente quando ho saputo che la proteina di cui mi sono occupata durante il dottorato sarebbe diventato un bersaglio terapeutico per il tumore metastatico al colon-retto. Anni di fatica e di studi si sono quindi trasformati nella realizzazione del sogno di poter aiutare concretamente i pazienti con le proprie ricerche. Non sono mancate anche soddisfazioni personali come il conferimento nel 2014 del Premio Giovani Ricercatori della Fondazione Berlucchi e naturalmente la vincita della borsa di ricerca di Fondazione Veronesi: la cerimonia di consegna dei grant è stata davvero emozionante».

Cosa ti piace di più della ricerca?

«Del mio lavoro adoro il fatto che tutto è sempre in movimento. La scienza è condivisione non si smette mai di imparare, evolve, nascono nuove idee e bisogna tenersi al passo».

E cosa invece eviteresti volentieri?

«La ricerca costante di finanziamenti che “ruba” tempo al bancone».

Se ti dico scienza e ricerca, cosa ti viene in mente?

«Esperimenti e comunicazione. Credo che la condivisione sia fondamentale, sia all’interno della comunità scientifica per discutere i risultati ottenuti, sia verso l’esterno per divulgare le ultime scoperte».

Quali sono per te i filoni di ricerca biomedica più promettenti per il futuro?

«Io scommetterei sulla scienza del metabolismo del cancro e sull’immunoterapia.Sappiamo che le cellule tumorali hanno caratteristiche metaboliche completamente diverse rispetto a quelle normali: gli studi più recenti stanno esplorando i modi di poter colpire questi meccanismi a scopo terapeutico.L’immunoterapia si basa sulla riattivazione del sistema immunitario per combattere il tumore. Questo approccio ha il vantaggio di agire con un meccanismo diverso rispetto alla classica chemio o ai farmaci a bersaglio molecolare; in questo modo si può aggirare l’insorgenza della temuta “resistenza” attraverso il ripristino della naturale capacità del sistema immunitario di colpire le cellule tumorali».

Qual è per te il senso profondo che ti spinge a fare ricerca?

«Lo scrittore J.R.R.Tolkien diceva: “Anche la persona più piccola può cambiare il corso del futuro”. Ognuno con il proprio stile e le proprie potenzialità. Io ho scelto di mettere in gioco i miei talenti nella ricerca, magari una strada impervia a volte, ma ne varrà sicuramente la pena».

 

Chiara Segré
Chiara Segré

Chiara Segré è biologa e dottore di ricerca in oncologia molecolare, con un master in giornalismo e comunicazione della scienza. Ha lavorato otto anni nella ricerca sul cancro e dal 2010 si occupa di divulgazione scientifica. Attualmente è Responsabile della Supervisione Scientifica della Fondazione Umberto Veronesi, oltre che scrittrice di libri per bambini e ragazzi.


Articoli correlati


In evidenza

Torna a inizio pagina