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Agnese Collino
pubblicato il 11-03-2019

Cancro del pancreas: come nascono i diversi sottotipi



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Claudia Fiorini vuole far chiarezza sui meccanismi che inducono lo sviluppo di specifiche sottotipologie di tumore del pancreas, per poter individuare nuovi possibili bersagli terapeutici

Cancro del pancreas: come nascono i diversi sottotipi

Tra i tumori del pancreas, l’adenocarcinoma duttale (che origina dai vasi in cui circolano gli enzimi digestivi) è il più comune: in Italia colpisce più di diecimila persone all’anno. Si tratta di un tumore dall’evoluzione rapida e di difficile diagnosi a stadi precoci: la sostanziale inefficacia delle terapie attualmente disponibili lo rende una delle neoplasie più difficili da trattare. È quindi fondamentale continuare ad investigarne intensamente le cause, a oggi ancora poco conosciute, per fare chiarezza sui meccanismi che guidano la malattia e individuare possibili strategie di cura. La biologa catanese Claudia Fiorini si è aggiudicata un finanziamento di Fondazione Umberto Veronesi per approfondire i fenomeni che determinano lo sviluppo delle diverse sottotipologie di adenocarcinoma duttale del pancreas, per ottenere informazioni su nuovi bersagli terapeutici per questa malattia.

 

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Claudia, quali aspetti andrai a studiare nel dettaglio?

«Dati preliminari del nostro laboratorio suggeriscono che alcune proteine della famiglia detta FGFR favoriscano lo sviluppo di determinati sottotipi di cancro del pancreas. Questi sottotipi mostrano differenze in termini di sensibilità farmacologica e di infiltrazione da parte di cellule del sistema immunitario. Crediamo che una migliore comprensione dei meccanismi con cui le diverse proteine FGFR determinano l’origine di specifici sottotipi di tumore pancreatico ci consentirà di identificare nuove vulnerabilità di questa malattia. Capire le cause dell’insorgenza dei meccanismi di resistenza ai farmaci potrebbe infatti fornire indizi preziosi per identificare nuove strategie terapeutiche per la cura dell’adenocarcinoma pancreatico».

 

E quali tecniche utilizzerai per approfondire questi aspetti?

«Per l’esecuzione del progetto sfrutteremo un modello innovativo della malattia, i cosiddetti organoidi: si tratta di colture tridimensionali generate da tumori pancreatici e da cellule pancreatiche normali, che consentono di “ricostruire” la malattia in maniera precisa e relativamente semplice».

 

Claudia, tu hai speso sei mesi al Peter MacCallum Cancer Center di Melbourne in Australia: cosa ci puoi dire del tuo periodo di ricerca all’estero?

«Io credo che per un ricercatore l’esperienza all’estero sia un’occasione importantissima per crescere sia a livello personale che lavorativo. E devo dire che per me si è trattato di un’esperienza molto positiva: il mio team di ricerca era formato da persone di diversa nazionalità, che mi hanno subito accolta e fatta sentire parte del gruppo. Ho imparato tanto da loro: ho capito che collaborare, scambiarsi le idee e conoscere i progetti degli altri colleghi è un bene per il lavoro di tutti. E poi avevo così tante cose da fare che non ho avuto il tempo di sentire la mancanza dell’Italia».

 

Ricordi il momento in cui hai capito che la tua strada era quella della ricerca?

«La scienza mi ha sempre affascinato tantissimo ed è per questo che ho scelto di studiare biologia. Ma è stato durante una lezione in un laboratorio di citogenetica della mia università che ho capito che quel posto mi piaceva veramente tanto».

 

Cosa ti piace di più della ricerca?

«È un lavoro sempre in evoluzione, non si finisce mai di imparare e non è mai monotono. Certo, se si potesse evitare il precariato…».

 

Cosa avresti fatto se non avessi fatto la ricercatrice?

«La cuoca, cucinare mi piace tanto. Anche se devo dire che il mio lavoro è per me come una calamita: ogni volta che cerco di allontanarmi mi riattrae».

 

Qual è stato il momento più bello e quello più brutto della tua vita professionale?

«Il più bello è stato senz’altro l’emozione della mia prima pubblicazione scientifica. Momenti difficili in questo mestiere ce ne sono, ma poi si superano al primo risultato positivo».

 

Hai qualche hobby al di fuori dell’ambito scientifico?

«Durante il tempo libero recito, la mia passione è il teatro».

 

Hai famiglia?

«I miei genitori, che amo tantissimo. Mia sorella, il mio ragazzo e Teo, il mio gatto».

 

Se un giorno un tuo figlio o figlia ti dicesse che vuole fare ricerca, come reagiresti?

«Sarei molto orgogliosa, ma molto preoccupata per il suo futuro».

 

Quando è stata l’ultima volta che ti sei commossa?

«Leggendo “Oh quante cose vedrai!”: è un libro per bambini (ma a mio parere anche per adulti) sul significato della vita e sul raggiungimento dei propri sogni».

 

E qual è il tuo libro preferito?

«“L’insostenibile leggerezza dell’essere” di Milan Kundera».

 

Qual è una «pazzia» che hai fatto?

«Prendere una valigia e andare sola dall’altra parte del mondo».

 

Una cosa che vorresti assolutamente fare almeno una volta nella vita.

«Vedere le sette meraviglie del mondo».

 

Se potessi scegliere, quale personaggio famoso ti piacerebbe conoscere?

«L’astronauta Luca Parmitano: vorrei chiedergli cosa si prova a vedere il mondo da quella prospettiva».

 

Qual è il tuo motto?

«Fai quello che ami e non lavorerai un solo giorno della tua vita».

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Agnese Collino
Agnese Collino

Biologa molecolare. Nata a Udine nel 1984. Laureata in Biologia Molecolare e Cellulare all'Università di Bologna, PhD in Oncologia Molecolare alla Scuola Europea di Medicina Molecolare (SEMM) di Milano, Master in Giornalismo e Comunicazione Istituzionale della Scienza all'Università di Ferrara. Ha lavorato nove anni nella ricerca sul cancro e dal 2013 si occupa di divulgazione scientifica


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