Per individuare nuove terapie, Elena Porcù cerca fra i farmaci utilizzati per altre malattie “nuove” molecole che possano curare il glioblastoma, un tumore particolarmente aggressivo
Il glioblastoma multiforme è un tumore cerebrale molto aggressivo, che colpisce la popolazione adulta ed è associato ad un tasso di sopravvivenza ancora basso. Questo tumore è spesso resistente alle terapie, e nella maggior parte dei casi i pazienti vanno incontro ad una ricaduta. Ecco perchè è importante andare alla ricerca di nuove strategie terapeutiche efficaci per la cura dei pazienti affetti da questo tumore. Grazie al sostegno della Fondazione Umberto Veronesi, la biotecnologa Elena Porcù lavora presso l’Istituto di Ricerca Pediatrica dell’Università di Padova, dove si concentra proprio sullo studio del glioblastoma multiforme. L'obiettivo di Elena è quella di verificare, tra i composti farmaceutici già conosciuti e impiegati ogni giorno nella cura di altre malattie, se ce ne siano alcuni che si dimostrino efficaci anche contro questo tumore così difficile da debellare.
Elena, in cosa consiste più nello specifico il tuo progetto?
«In una ricerca precedente sono stati esaminati, mediante analisi bioinformatiche, 1280 farmaci già noti e utilizzati per altre patologie, e di cui quindi si conoscono eventuali effetti collaterali per l’organismo. Da questo insieme di farmaci, sono stati selezionati quelli che potrebbero avere effetto sulle cellule tumorali di glioblastoma. Successivamente sono state identificate le molecole che potrebbero essere in grado di correggere l’espressione dei geni mutati e riportarla agli stessi livelli fisiologici riscontrati nel cervello sano, in modo tale da contrastare la crescita incontrollata del tumore. Tra questi sono stati successivamente selezionati i farmaci capaci di attraversare la barriera emato-encefalica (la membrana che protegge e separa il cervello dal circolo sanguigno) e raggiungere così il tumore una volta somministrati al paziente. Nel mio progetto, le molecole selezionate in questi passaggi precedenti verranno testate in laboratorio per verificare i loro effetti antitumorali su un modello di coltura tridimensionale (3D) di cellule di glioblastoma, che permette di analizzare il tumore nella sua complessità».
Cosa ti aspetti che questo progetto apporti, quindi, in termini di salute umana?
«Questo lavoro permetterà di selezionare farmaci che potrebbero essere in futuro impiegati per la cura di questo tumore. Inoltre, dal punto di vista scientifico e biologico, ci consentirà di approfondire le conoscenze su questa malattia a partire dai modelli di glioblastoma utilizzati in laboratorio».
Sei mai stato all’estero a fare un’esperienza di ricerca?
«Ho avuto l’opportunità di lavorare per 3 mesi in Austria, presso il Tyrolean Cancer Research Institute di Innsbruck, dove ho effettuato alcuni esperimenti inerenti al mio progetto di dottorato. Ho inoltre potuto trascorrere una settimana in un laboratorio di Vienna, presso il St. Anna Children’s Hospital, Children's Cancer Research Institute, per imparare una nuova tecnica».
Cosa ti ha lasciato questa esperienza?
«Entrambe queste esperienze sono state molto importanti per la mia crescita personale e professionale. Soprattutto in queste situazioni si è stimolati a mettersi in gioco e a dare il proprio meglio; in più conoscere il modo di ragionare e di lavorare di altri contesti è utile per aprire la mente e valutare le cose da prospettive diverse».
Se ti dico scienza e ricerca, cosa ti viene in mente?
«Poter fare ricerca, e quindi sperimentare e avere idee nuove anche fuori dal comune, è come essere un po’ degli artisti. Ricercare in ambito scientifico, nel quale ci sono leggi ben precise e mondi interi da scoprire, permette di mettere in pratica l’arte e la fantasia, rendendola così maggiormente utile».
Cosa ti piace di più della ricerca?
«Mi piace molto l’idea di scoprire e “investigare”, per trovare qualcosa di utile anche per le altre persone».
E di cosa invece faresti volentieri a meno?
«Vorrei evitare di dover pazientare tanto per risultati che spesso è difficile ottenere».
Cosa ne pensi dei complottisti e delle persone contrarie alla scienza per motivi ideologici?
«Purtroppo penso che alcune persone si lascino trasportare da voci e polemiche di altri, senza una vera coscienza delle cose. La capacità di ottenere informazioni con estrema facilità in qualsiasi ambito fa sì che molti non si fidino più delle persone con maggiori competenze, e che non sappiano discriminare tra ciò che è vero e ciò che è falso. Finchè si tratta della loro salute, queste persone sono certamente libere di scegliere autonomamente, ma quando esiste un rischio per la salute altrui bisognerebbe prendere dei provvedimenti (come ad esempio l’obbligo per le vaccinazioni)».
Hai qualche hobby o passione al di fuori dell’ambito scientifico?
«Fino a qualche anno fa frequentavo un gruppo scout e organizzavo attività per ragazzi tra gli 8 e i 16 anni. Era molto bello e stimolante: potevo trasmettere i miei valori e vivere esperienze significative. Ora purtroppo essendomi trasferita non riesco più a seguire e a dare il mio contributo in quel gruppo: sto però cercando qualche forma di volontariato che sia meno impegnativa. Nel frattempo sto seguendo un corso di nuoto, e uno di inglese».
Qual è il tuo film preferito?
«Mi è piaciuto molto “Into the wild”: ho sempre amato l’idea di partire e viaggiare, di perdermi nella natura e meravigliarmi del mondo che ci circonda».
Perché hai scelto di intraprendere la strada della ricerca?
«Già alle elementari, quando mi è stato regalato un microscopio giocattolo, mi piaceva osservare come sono fatti gli insetti o vari oggetti nella loro struttura microscopica. Inoltre la mia famiglia e lo scoutismo mi hanno spinta a sviluppare una certa sensibilità verso gli altri, ad aiutare il prossimo e a rendermi utile facendo del mio meglio. Ho capito quindi che mi sarebbe piaciuto unire la passione per la scienza alla voglia di aiutare gli altri. Ho inoltre sempre apprezzato il poter lavorare con le mie mani, in maniera precisa e attenta, e cercare un risvolto pratico e utile in ciò che sto facendo. Ecco perché mi sono laureata in biotecnologie: una branca che cerca applicazioni pratiche a partire dalla biologia».
Cosa avresti fatto se non avessi fatto il ricercatore?
«Penso che sarei potuta diventare un architetto. Mi piace molto disegnare e progettare».
Quando è stata l’ultima volta che hai pianto?
«Mi sono commossa dopo aver rivisto una giovane collega che mancava da tempo per problemi di salute. Ero contenta che stesse meglio, e che fosse riuscita a lottare contro la sua malattia. Ammiro molto il coraggio delle persone che sanno andare avanti e affrontare le difficoltà con coraggio, determinazione e soprattutto con il sorriso».
Agnese Collino
Biologa molecolare. Nata a Udine nel 1984. Laureata in Biologia Molecolare e Cellulare all'Università di Bologna, PhD in Oncologia Molecolare alla Scuola Europea di Medicina Molecolare (SEMM) di Milano, Master in Giornalismo e Comunicazione Istituzionale della Scienza all'Università di Ferrara. Ha lavorato nove anni nella ricerca sul cancro e dal 2013 si occupa di divulgazione scientifica