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Ginecologia
Fabio Di Todaro
pubblicato il 14-02-2017

Prolasso dell’utero: come si interviene?



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Protesi sintetiche o biologiche mostrano esiti simili nella riparazione del prolasso dell’utero. Quando si può conservare l’organo, quali sono i sintomi, le alternative al bisturi

Prolasso dell’utero: come si interviene?

Quando si può evitare la rimozione dell’organo e si procede con un trattamento chirurgico riparativo del prolasso uterino, non c’è differenza fra le diverse protesi utilizzate. Poco importa che si usi un materiale sintetico piuttosto che uno biologico per far fronte alla condizione che rischia di toccare da vicino quasi una donna su due e alla cui comparsa concorrono diversi fattori: il numero di gravidanze, la tipologia del parto (soprattutto se vaginale o con lungo travaglio), l’invecchiamento (è più frequente nelle donne in menopausa), l’obesità e la contemporanea presenza della broncopneumopatia cronico ostruttiva. L’esito dell’impianto protesico non dipenderebbe dalla natura del materiale utilizzato e si pone come alternativa rispetto alla rimozione dell’utero (isterectomia).

 

STUDIO SU THE LANCET

Dell’argomento si è occupato un gruppo di ricercatori scozzesi, al lavoro nell’università di Aberdeen. Gli studiosi hanno confrontato le procedure chirurgiche protesiche di correzione del prolasso transvaginale. Due le opzioni: l’impiego di reti sintetiche o l’innesto biologico che prevede l’utilizzo di strutture preesistenti.

Alla ricerca, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista The Lancethanno partecipato 685 donne. A un anno dall’intervento, è stato chiesto loro di riferire la presenza di sintomi (ingombro vaginale) e un punteggio relativamente alla qualità della vita. Non è emersa nessuna differenza significativa, da questo controllo così come da quello effettuato un anno più tardi, al fine di verificare la comparsa di differenti condizioni nelle pazienti sottoposte a una tecnica operatoria piuttosto che all’altra.

Efficacia, sintomi, qualità della vita ed effetti avversi risultavano del tutto paragonabili tra i due gruppi di pazienti.

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I COMMENTI

Differenti però sono stati i punti di vista registrati in due commenti pubblicati a supporto della ricerca. «Lo studio aggiunge riscontri interessanti in termini di sicurezza ed efficacia delle procedure che impiegano reti sintetiche nelle donne con incontinenza urinaria da sforzo, dimostrando che questo materiale protesico è sicuro ed efficace», ha aggiunto Sarah McAchran, urologa dell’Università del Wisconsin, a Madison.

Più prudente Cynthia Brincat, della Loyola University di Chicago, secondo cui «i risultati confermano i limiti della chirurgia riparativa del prolasso uterino», a cui la maggior parte delle donne preferisce ricorrere soprattutto in età fertile, per non perdere la possibilità di affrontare un’altra gravidanza.

 

PROLASSO DELL'UTERO: COSA E' E COME SI RISCONOSCE

Il prolasso uterino consiste nel distacco dell’utero dalla sua parete, con lo scivolamento all’interno della vagina. Alla base c’è una perdita di elasticità da parte del pavimento pelvico, che si osserva anche negli uomini a seguito dell’asportazione della prostata.

I sintomi del prolasso, come spiega Gennaro Trezza, direttore dell’unità operativa complessa di ginecologia e ostetricia dell’ospedale Rummo di Benevento e vicepresidente dell’Associazione Italiana di Urologia Ginecologica e del Pavimento Pelvico, sono «principalmente la sensazione di peso viscerale, a livello vaginale o perineale. In assenza di sintomi, alcune donne scoprono di avere un prolasso durante l’igiene intima». Per la diagnosi, oltre a un esame pelvico, potrebbe essere utile associare anche un’ecografia perineale o vaginale e nei casi più complessi   una risonanza magnetica nucleare.

 

COME SI INTERVIENE

Per i casi più gravi, come quelli acclusi allo studio, il ricorso alla chirurgia è inevitabile. La pratica riparativa è quella eseguita più di frequente. Negli ultimi anni, però, complice anche un richiamo ufficiale da parte della Food and Drug Administration, è calato l’uso delle reti sintetiche nella gestione terapeutica dei prolassi uterini di terzo grado. Tutto ciò a vantaggio della conservazione del tessuto nativo. «Perché il tempo è servito a smentire l’ipotesi che l’uso delle reti riducesse le recidive senza dare complicanze, poiché entrambe rimangono un problema serio nella gestione del prolasso uterino», prosegue l’esperto. Che l’utilizzo delle reti non apportasse particolari vantaggi era emerso anche da una revisione Cochrane, pubblicata lo scorso anno.

 

TERAPIE E ESERCIZI

Più conservativo è invece l’approccio nei casi meno gravi di prolasso dell’utero. «Nelle forme di primo e secondo grado si può adoperare il pessario (un anello che viene inserito in vagina per bloccare il prolasso degli organi pelvici, ndr) o una terapia farmacologica a base di estrogeni - è l’opinione di Trezza -. Ciò non permette di escludere comunque il ricorso alla chirurgia, nel caso in cui col passare degli anni i sintomi dovessero diventare più pesanti». Sempre nello stesso numero di The Lancet, un altro articolo ha evidenziato l’importanza degli esercizi di Kegel, che permettono di rafforzare il pavimento pelvico e dunque di rimandare l’appuntamento con la sala operatoria, in tutti quei casi considerati meno gravi. Ciò che non è ancora chiaro è se esista una strategia di allenamento - frequenza, durata, intensità - determinante nell’evitare la comparsa dei sintomi. A oggi, «poiché la maggior parte dei casi di prolasso diventano sintomatici solo dopo la menopausa, è necessario un follow-up molto lungo per stabilire l'effetto preventivo della ginnastica», chiosa Janny Dekker, dell’Università di Groningen.

 

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Fabio Di Todaro
Fabio Di Todaro

Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).


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