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Ginecologia
Donatella Barus
pubblicato il 03-03-2021

Pap test e Hpv test: l’effetto Covid frena ma non ferma gli screening



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Quanti Pap test e Hpv test si sono persi a causa della pandemia? Come dovremo organizzarci per non perdere l'occasione dello screening?

Pap test e Hpv test: l’effetto Covid frena ma non ferma gli screening

Quanto ha pesato la pandemia sullo screening cervicale? Quante donne hanno saltato l’appuntamento per il Pap test o per l’Hpv test? Cosa ci stiamo perdendo in termini di prevenzione oncologica? L’emergenza sanitaria causata dal virus Sars-CoV2 ha avuto un impatto significativo su tutte le attività di prevenzione, compresi gli screening organizzati. Nella settimana dedicata all’Hpv e alla prevenzione delle malattie causate dal papilloma virus, una delle preoccupazioni principali riguarda proprio lo stato di salute di uno degli strumenti di prevenzione più costo-efficaci per ridurre i casi di tumore del collo dell’utero, ovvero lo screening tramite Pap test e Hpv test.

 

I DATI

L’Osservatorio nazionale screening ha pubblicato un rapporto dettagliato sui primi otto mesi del 2020. Rispetto allo stesso periodo del 2019 c’è stato un calo tanto degli inviti quanto della propensione ad accettarli e a sottoporsi ai controlli. In particolare, si registra una riduzione del 40 per cento negli inviti, con punte del –59 per cento in alcune regioni, e un calo del 17 per cento della propensione alla partecipazione. In totale, si stimano 540.000 controlli in meno e circa 2.400 mancate diagnosi di lesioni precancerose. Con grandi variabilità regionali, va detto che nella seconda metà dell’anno molti servizi sono ripresi e il ritardo è andato via via assottigliandosi. Inoltre, come spiegano gli autori del rapporto, le mancate diagnosi riguardano quasi sempre «CIN2 e CIN3, le lesioni target dello screening cervicale, che sono lesioni pre-cancerose con un basso potenziale di trasformazione e che mediamente il tempo necessario affinché una lesione CIN3 progredisca a cancro è di diversi anni». Insomma, si tratta di lesioni che impiegherebbero molto tempo per diventare rischiose e che in una parte dei casi regrediscono spontaneamente.

 

IMPORTANTE RECUPERARE I RITARDI

Resta urgente però, proprio perché questi ritardi non si trasformino in tumori diagnosticati tardi, recuperare regolarità nel funzionamento dei test e recuperare la fiducia delle donne. A questo proposito è chiaro il messaggio del professor Mario Preti, ginecologo dell'ospedale Sant'Anna di Torino e membro del comitato scientifico di Fondazione Umberto Veronesi: «In questi mesi si è fatto tutto il possibile, gli operatori degli screening hanno dato l'anima, perché la macchina dello screening organizzato riprenda o rallenti il meno possibile, sia gli esami di primo livello, ovvero i controlli offerti a tutte le donne fra i 25 e i 64 anni, sia quelli di secondo livello, ovvero gli esami di approfondimento necessari (le colposcopie, ndr) quando un abbiamo un esito positivo dal Pap test. Non sappiamo quanto durerà questa pandemia o se ne arriveranno altre, dobbiamo essere pronti e le donne non devono perdere questa occasione di prevenzione».

 

IDEE NUOVE E RIORGANIZZAZIONE

Gli esperti si interrogano sulla necessità di ripensare i flussi organizzativi di una macchina complessa che richiede personale sanitario e amministrativo, spazi adeguati, logistica e informatizzazione. E che deve essere sufficientemente flessibile da reggere l’urto di emergenze periodiche, come questa pandemia ci sta insegnando. C'è chi valuta anche strategie innovative, come quelle che sta sperimentando il servizio sanitario pubblico del Regno Unito, che ha inviato a 31.000 donne londinesi un kit per il prelievo fai-da-te per rilevare la presenza del virus HPV. Il kit, inviato per posta o consegnato dal medico, permette di prelevare da sé un campione dall’interno della vagina tramite un tampone lungo e sottile. Secondo i promotori, questo sistema già studiato da alcuni anni, offre una buona alternativa che può aumentare il numero delle donne che riescono a monitorare la propria salute, anche in tempo di Covid-19.

 

LO SCREENING IN ITALIA

Ma qual è la situazione della prevenzione dei tumori cervicali per le donne in Italia? «Il Pap test ha conquistato l’Italia, anche se ci sono ancora degli zoccoli duri e delle aree in cui stenta a decollare» è il commento di Mario Preti. Secondo l’indagine Passi relativa al periodo 2010-2012, il 77% delle donne fra i 25 e i 64 anni ha dichiarato di avere effettuato almeno un test di screening negli 3 anni precedenti. La metà circa all’interno di programmi di organizzati pubblici, le altre privatamente. Il dato varia geograficamente, 85% al nord, al centro l’83 e al sud appena il 64%. La qualità dei prelievi è elevata, ma vanno migliorate l’estensione e l’adesione allo screening. Inoltre, è ancora poco uniforme la conversione dal Pap test all’Hpv test per le donne con più di 30 anni, come raccomandano le linee guida: nel 2018 la percentuale di donne invitate allo screening con Hpv test era del 57% al nord, 41,5% centro, 11,2% sud e isole.

 

LA RIVOLUZIONE DELL'HPV-TEST

«A fine anni '90 il ruolo dell’Hpv, presente nella quasi totalità dei tumori della cervice, ha spinto i ricercatori a decidere di andare a cercare il Papilloma virus prima delle alterazioni cellulari. È stata una rivoluzione. Siamo passati dall’analisi morfologica delle cellule prelevate su un vetrino, come negli anni ’40, a cercare il Dna del virus. Siamo passati dalla diagnosi di una infezione virale all’identificazione di un rischio. Oggi l’Hpv test è raccomandato come screening primario dai 30 ai 64 anni, se negativo ripetendolo ogni 5 anni. Questo sistema ci permette di proteggere di più e più a lungo le donne, perché l’Hpv test diventa positivo prima che ci siano alterazioni riconoscibili al Pap test». In questo modo è possibile sorvegliare precocemente le donne a rischio ed evitare test inutili alle donne che non lo sono.

 

LO SCREENING SERVE?

«Dovrebbe bastare osservare i dati sul calo della mortalità e dell’incidenza del tumore della cervice uterina» risponde Mario Preti. «Da quando è iniziato lo screening i numeri sono crollati». Dal 1980 al 2012 siamo passati da 13-14 casi ogni 100.000 abitanti a 4. E da 7 a 1,5 decessi. Tradotto in numeri assoluti? Oggi in Italia si stimano 2.400 nuovi casi l'anno e nel 2017 si sono registrate poco meno di 500 vittime. «Vedremo poi nei prossimi anni l’effetto della vaccinazione contro l’Hpv».

Donatella Barus
Donatella Barus

Giornalista professionista, dirige dal 2014 il Magazine della Fondazione Umberto Veronesi. E’ laureata in Scienze della Comunicazione, ha un Master in comunicazione. Dal 2003 al 2010 ha lavorato alla realizzazione e redazione di Sportello cancro (Corriere della Sera e Fondazione Veronesi). Ha scritto insieme a Roberto Boffi il manuale “Spegnila!” (BUR Rizzoli), dedicato a chi vuole smettere di fumare.


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