Speciale professione ostetrica: le conquiste e i problemi di una figura antica. E' ancora un punto di riferimento per le donne?
Prima c’era la levatrice, erede di una sapienza millenaria. Figura rispettatissima, insieme con quelle del medico condotto e del farmacista. Aiutava le donne a partorire, ma non solo. Seguiva le gravidanze, visitava le puerpere, dava consigli per l’allattamento, insegnava alle mamme inesperte le tante cose che bisogna imparare a fare, dall’igiene del moncone del cordone ombelicale al primo bagnetto del bambino. Ed era con la levatrice che le donne si confidavano, magari chiedendo consigli sulla ripresa dei rapporti sessuali e sul desiderio che a volte sembra scomparso.
Ora c’è l’ostetrica con la laurea triennale in ostetricia e un percorso formativo successivo che prevede specializzazioni di 2 anni per la “laurea magistrale in scienze infermieristiche e ostetriche” e/o masters, della durata di un anno circa, su aree di competenza. In Italia le ostetriche sono oltre 17mila, hanno l’Albo professionale e sono iscritte ai Collegi. Quasi tutte lavorano nelle strutture del Servizio sanitario nazionale: ospedali o consultori delle Asl. Sono ancora punto di riferimento per le donne? Vediamo le conquiste e i problemi della professione.
Simona Sieve è un’ostetrica di grande esperienza e qui spiega come si è trasformata la figura della levatrice e quali sono le conquiste e i problemi ancora da risolvere, dall’uso eccessivo del cesareo al parto indolore.
E' la presidente del Collegio Milano-Lodi-Monza-Brianza, uno dei più rappresentativi d’Italia, che riunisce 950 ostetriche. Della professione, ha un’esperienza a 360 gradi: come ostetrica coordinatrice nell’area accettazione dell’Ospedale materno-infantile “Vittore Buzzi” di Milano (azienda ospedaliera ICP), come ostetrica nei consultori territoriali, e nell’assistenza domiciliare. In più, è socia fondatrice del’Associazione culturale “La Lunanuova” di Milano, dove un gruppo di ostetriche porta avanti da anni l’idea di un parto libero e consapevole.
UN RUOLO TRASFORMATO
Dice Simona Sieve: «La medicalizzazione della nascita ha portato a molte trasformazioni rispetto all’assistenza che l’ostetrica offriva in passato. Abbiamo assistito quindi ad una trasformazione del suo ruolo. Le ostetriche sono presenti negli ospedali, soprattutto nelle sale parto. Invece in buona parte delle aree affini al percorso nascita, mi riferisco al puerperio della mamma e del neonato, nei reparti di patologia della gravidanza e negli ambulatori ostetrico-ginecologici, spesso la figura ostetrica manca e, al suo posto, vi sono infermiere. Troviamo le ostetriche nei corsi di preparazione al parto, tuttavia la frammentazione istituzionale del percorso nascita rende difficile instaurare quella “continuità assistenziale” di cui le donne e le ostetriche hanno bisogno. Dico che anche le ostetriche ne hanno bisogno in quanto la relazione è un elemento importante che dà senso al lavoro di sostegno e accompagnamento nei confronti della donna/coppia che decide di avere un bambino».
CHE COSA INSEGNANO
«L’ostetrica può essere la figura di riferimento anche per le ragazze nella fase dell’adolescenza attraverso incontri di educazione sessuale e di approccio alla contraccezione» spiega ancora Simona Sieve.
«Le ostetriche sono spesso state inserite in programmi di educazione sessuale e di informazione sull’uso dei contraccettivi nelle scuole. Questi interventi, in genere, sono di tipo multidisciplinare e vedono la presenza di altri specialisti come, ad esempio, gli psicologi. Attualmente le colleghe mi riferiscono che gli interventi nelle scuole sono ormai sporadici e questo, a mio avviso, è una perdita».
PERCORSI DOMICILIARI
Tornando al “percorso nascita”, «un particolare problema è costituito dal “ritorno a casa” della mamma con il bambino, dopo il parto. Molte donne denunciano il fatto che tra la dimissione dal reparto maternità dell’ospedale e la prima visita pediatrica passa a volte più di un mese. E’ un vuoto. I primi giorni dopo parto sono un periodo molto delicato. Ogni donna avrebbe diritto ad avere un’assistenza domiciliare da parte dell’ostetrica che prende in carico la coppia madre/bambino curando l’avvio dell’allattamento, l’adattamento della donna e del neonato nella loro relazione, il decorso clinico del puerperio della madre e il benessere del neonato. Le donne spesso non sanno che possono cercare l’ostetrica consultoriale, e che meglio sarebbe stabilire un contatto prima del parto».
In Francia e in Olanda sono previste alcune visite a casa da parte di un’ostetrica. Si potrebbe fare anche qui?
«Certamente! si tratta di scelte organizzative ed economiche. Noi del nostro Collegio abbiamo lanciato una petizione, che può essere firmata da tutti i cittadini (è sul sito web www.ostetrichemilano.it) per denunciare l’assenza di un modello di assistenza domiciliare diretto alle puerpere da parte dell’ostetrica».
«Vorremmo stimolare l’opinione pubblica affinché la Regione Lombardia si faccia carico del problema e che si possa arrivare ad istituzionalizzare un servizio di assistenza domiciliare alle puerpere magari attraverso gruppi di ostetriche organizzati in piccole equipe. E’ necessario riproporre in chiave moderna un ruolo che storicamente ha funzionato (le condotte) e che è sempre stato svolto dalle ostetriche».
LE CASE DEL PARTO
Un altro modello interessante, diffuso in tutta Europa, è quello delle «case di maternità”, luoghi di accoglienza per le donne durante tutta la gravidanza e gestiti da ostetriche. Sarebbe un bel progetto porre la donna al centro dell’esperienza e, nelle gravidanze normali, ridurre la medicalizzazione ai controlli essenziali validamente riconosciuti dalla medicina allo stato attuale. Si restituirebbe all’esperienza della maternità una dimensione sociale, condivisa e non solo tecnica. Forse si ridurrebbe la paura e, facendo comprendere alle donne e ai loro compagni che non siamo onnipotenti, si ridurrebbe anche la pressione e la minaccia medico/legale che ha portato ad attuare quella che ora viene definita “la medicina difensiva”. Questa modalità fa male a tutti e, non solo in campo ostetrico».
In Francia le ostetriche degli ospedali stanno facendo una battaglia per ottenere uno “statuto” professionale. Ma c’è opposizione da parte dei medici specialisti…
«Per la specializzazione universitaria preceduta dalla laurea triennale le ostetriche si sono battute lungamente. Ormai da anni è una conquista. Tuttavia nei punti nascita le ostetriche continuano a sentirsi in posizione subordinata, pur essendo sparito l’elenco delle mansioni, sostituito dal concetto del lavoro per obiettivi assistenziali. Spesso vi è conflitto con le figure mediche. Questo accade nelle strutture in cui c’è poca chiarezza rispetto ai ruoli e ai livelli di responsabilità. E’ necessario concordare con il proprio responsabile di struttura (il vecchio primario per intenderci) le “procedure assistenziali” in cui si espliciti chi fa cosa nel rispetto dei ruoli reciproci e delle leggi vigenti. Io credo che, così facendo, si possa collaborare insieme affinché la donna possa avere una buona e appropriata esperienza di parto/nascita».
«Rimane tuttavia incomprensibile il fatto che in Italia l’ostetrica non abbia la possibilità di avere un suo ricettario o che non possa rilasciare un certificato di gravidanza. La mancanza di questi strumenti e del riconoscimento di un lavoro autonomo, nonostante le leggi europee, ci impedisce di lavorare ed in particolare di seguire la donna in gravidanza». Chi ostacola l’autonomia dell’ostetrica? «Preciso che l’ostetrica può lavorare autonomamente con donne in salute e, dove dovessero emergere problemi sanitari o di altra natura, lavora in équipe con altri specialisti».
PARTO CESAREO
L’Organizzazione ne fissa il limite giusto al 15 per cento. In Italia, dove in certe zone si supera il 50 per cento, i fautori del cesareo lo difendono in nome della sicurezza del bambino. Qual è la vostra posizione?
«Vi sono molti studi che hanno dimostrato che il cesareo non è il parto più sicuro né per la donna né per il bambino. Chi sostiene il cesareo come modo di nascere non fa ostetricia fa chirurgia. Inoltre molti cesarei sono motivati da ragioni organizzative, economiche e seguono l’approccio della medicina difensiva. Si fa leva spesso sulle paure delle donne per farlo scegliere a loro “cesareo per scelta materna”. Ricordo che la donna deve firmare il consenso all’intervento. In alcuni casi il cesareo si presenta come indispensabile, negli altri casi meglio andare verso una nascita per vie naturali. Questo risulta più protettivo per la salute della donna e del bambino. Inoltre oggi con l’ausilio delle tecniche di gestione e di contenimento del dolore si possono affrontare tante situazioni senza creare alla donna traumi. Ci vuole molta sensibilità, competenza ed equilibro. Il nostro è un lavoro complesso e parlo di ostetriche e medici insieme».
EPIDURALE
Il dolore del parto. Si va diffondendo l’epidurale, ma molte donne raccontano ugualmente storie di dolore.
«L’epidurale è una tecnica assai utile, è un opportunità. Anche con l’epidurale, non c’è l’assoluta cancellazione del dolore. Infatti si parla di analgesia. Le donne devono essere preparate e non bisogna banalizzare le paure creando aspettative illusorie. In questo l’ostetrica può essere un’efficace figura di sostegno e di accompagnamento. Il dolore è una delle componenti dell’esperienza del parto e, forse, della vita. In questo senso non lo possiamo cancellare possiamo però affrontarlo con strumenti che ci consentano di poterlo attraversare. Non essere soli, sapere cosa accade, avere fiducia in sé e nel bambino ed inoltre sapere di poter usufruire, se lo si sceglie, dell’epidurale o delle tecniche non farmacologiche di gestione del dolore come l’acqua o massaggi. Ogni donna va aiutata a capire, orientarsi verso ciò che le può corrispondere di più. Va aiutata ad aprirsi all’esperienza».