All'Ospedale Cervello di Palermo messa a punto una procedura d'avanguardia, la celocentesi. Gli esperti: Non solo diagnosi, si aprono nuove vie per curare e guarire il feto in utero
PRECOCITA’
Il principale vantaggio della nuova tecnica diagnostica è che arriva prima. La celocentesi si effettua fra la quinta e la nona settimana di gestazione, con un anticipo notevole rispetto ad altri esami fetali invasivi come la villocentesi e l’amniocentesi (che si svolgono rispettivamente dopo la decima e fra la quindicesima e sedicesima settimana). Questo significa permettere alle coppie di vivere serenamente l’intero periodo della gravidanza e, in caso di feto malato, di poter agire consapevolmente, che si scelga di portare avanti la gestazione, confidando nelle possibilità di cura che iniziano a concretizzarsi, o che si scelga di interromperla. «Una diagnosi così precoce – spiega Aurelio Maggio, direttore di Ematologia II dell’Ospedale Cervello di Palermo – lascia la possibilità di interrompere la gravidanza senza dover ricorrere a un aborto terapeutico in fasi più avanzate della gravidanza, che rende ancora più traumatica una scelta di per sé dolorosa (che – occorre ricordarlo – nella nostra casistica è affrontata dalla maggior parte delle coppie che ricevono una diagnosi di talassemia)». Ma arrivare presto a riconoscere la malattia permette anche di aprire porte nuove, tiene a sottolineare Maggio: «Stiamo lavorando a terapie d’avanguardia, come il trapianto di cellule staminali ematopoietiche in utero, che in futuro neppure troppo lontano potrebbe diventare un’opzione terapeutica concreta».
GUARIRE PRIMA DI NASCERE
La possibilità del trapianto in utero si riapre proprio grazie alla celocentesi, spiega ancora Aurelio Maggio: «Poter giungere a una diagnosi così presto riapre una finestra di accesso al feto. Con altre tecniche diagnostiche (amniocentesi, villo centesi) si arriva troppo tardi. Di recente abbiamo ottenuto l’attecchimento di cellule staminali paterne in feti affetti da talassemia trapiantati durante il secondo trimestre di gravidanza. Dopo la decima settimana di gestazione, però, il feto il sistema immunitario del feto è già sviluppato e il rischio di reazione contro il trapianto è alto. Con la celocentesi, invece, riapriamo un vero e proprio progetto di guarigione in utero».
NIENTE BUCHI, MENO RISCHI PER IL FETO
In cosa consiste la celocentesi? «E’ un prelievo di cellule fetali contenute nella cavità celomatica, che si forma alla quarta settimana di gestazione e scompare verso la nona – spiega Aurelio Maggio -. Si passa con l’ago per via transvaginale, senza bisogno di bucare la pancia e senza toccare strutture vitali per il feto. Pur restando una tecnica diagnostica invasiva, il rischio di danni fetali è davvero minimo, così come il rischio di errore. Nel nostro studio, su 111 prelievi effettuati, in un solo caso le cellule sono risultate insufficienti alla diagnosi, e tutti gli altri esiti sono stati confermati da una successiva amniocentesi. L’affidabilità della celocentesi dunque è prossima al 100 per cento, a patto che venga eseguita a regola d’arte. L’esperienza è fondamentale, bisogna aver eseguito un gran numero di procedure per padroneggiare la tecnica». Non a caso il team siciliano è stato affiancato da George Makrydimas, professore associato di ginecologia all’University Hospital di Ioannina, che ha sperimentato la celocentesi sin dagli anni ’90, perfezionando la procedura fino a ottenere un profilo di sicurezza soddisfacente.
PROSPETTIVE FUTURE
La sperimentazione è durata tre anni ed è stata sostenuta dalla Fondazione Piera e Franco Cutino. Quali saranno i prossimi passi? «Siamo all’inizio del percorso – risponde Aurelio Maggio. - Speriamo di poter applicare questo metodo diagnostico anche a malattie cromosomiche, come la sindrome di Down. Intanto, sulla talassemia si lavora sul fronte terapeutico e nel centro di ricerca dell’ospedale Cervello, che aprirà nel nuovo padiglione in costruzione accanto all’Ematologia, studieremo la terapia genica e il trapianto di staminali in utero».
VECCHI E NUOVI MALATI
La talassemia, patologia degenerativa che comporta gravi deficit nella sintesi di emoglobina e quindi nel trasporto dell’ossigeno, in Italia è la più diffusa fra le malattie definite rare. Si calcola che i talassemici siano fra le 7 e le 8 mila persone, e due milioni e mezzo i portatori sani. Ma il censimento della malattia è difficile, proprio perché mancano i registri nella stragrande maggioranza delle Regioni. Se fino ad alcuni anni fa la casistica rispettava una circoscrizione geografica ben precisa (le isole, Sardegna e Sicilia, e le zone un tempo paludose della pianura padana), attualmente ci sono Regioni come Lombardia, Piemonte, Liguria e Veneto in cui si registra un’impennata di casi legati ai flussi migratori provenienti da Nord Africa e Sudest asiatico, e una maggior incidenza di anemia falciforme, una forma di talassemia prima assai infrequente in Italia. Anche su questo fronte, è necessario essere preparati, avvertono gli esperti.
Donatella Barus
Giornalista professionista, dirige dal 2014 il Magazine della Fondazione Umberto Veronesi. E’ laureata in Scienze della Comunicazione, ha un Master in comunicazione. Dal 2003 al 2010 ha lavorato alla realizzazione e redazione di Sportello cancro (Corriere della Sera e Fondazione Veronesi). Ha scritto insieme a Roberto Boffi il manuale “Spegnila!” (BUR Rizzoli), dedicato a chi vuole smettere di fumare.