Un ampio studio americano evidenzia che camminare di buona lena, in età avanzata, fa bene al cuore, allontana la disabilità e migliora la qualità della vita
Camminare fa bene, anche negli anni d’argento, farlo ‘velocemente’ è ancora meglio. Un passo un po’ più accelerato del normale sembrerebbe infatti favorire la salute del cuore, abbassando (o allontanando) il rischio di implicazioni correlate. A dimostrare gli effetti dell’attività fisica anche in età avanzata è lo studio randomizzato LIFE (Lifestyle Interventions and Independence for Elders), condotto dall'Università della Florida e pubblicato sulla rivista JAMA, da cui si evince una significativa riduzione delle disabilità motorie e cardiache, anche di grave intensità, a favore di una migliore qualità di vita e un decremento nell’incidenza di mortalità.
LO STUDIO
Oltre 1.600 anziani, di età compresa fra 70 e 89 anni, osservati per quattro anni: è questo il vasto campione di popolazione che ha consentito ai ricercatori americani di dedurre che a fare la differenza in una camminata, meglio se quotidiana, è la velocità di passo. Con ripercussioni positive sullo stato generale di salute. Il podismo rapido è quindi un elisir di lunga vita? Le premesse non consentono di arrivare a cotanta conclusione, ma piuttosto a rendere evidente che l’attività fisica, regolare e dinamica può migliorare nell’anziano alcune condizioni che inlfuiscono sulla qualità di vita.
Ovvero meno disabilità e le correlate complicanze di varia intensità e natura, minor probabilità di incorrere in una morte precoce. In buona sostanza, lo studio dimostra che una persona (anziana nel nostro caso) che percorre meno di 0,8 metri al secondo, avrebbe un rischio di morte superiore di più della metà rispetto a chi invece cammina almeno a un metro al secondo. Ancora dallo studio emerge che una attività fisica di circa mezz'ora al giorno sarebbe in grado di ridurre del 18% l'incidenza di disabilità motoria grave, ovvero l'incapacità di camminare per almeno 400 metri, e del 28% l'incapacità permanente di camminare, condizione che affligge milioni di anziani in ogni parte del mondo.
«Poca mobilità - spiega Marco Pahor, Direttore di Ricerca del Dipartimento di Invecchiamento e Geriatria dell'Institute on Aging College of Medicine dell'Università della Florida e autore dello studio - si traduce in un maggior numero di ospedalizzazioni, di un rischio aumentato di malattie cardiovascolari e, nella peggiore delle ipotesi, di un tasso più elevato di mortalità». Con ricadute sensibili anche sui costi di sanità pubblica.
PREVENZIONE
Una terapeutica prevenzione: così può essere considerata, stando ai risultati emersi dalla ricerca americana, l’attività fisica nell’anziano che va coadiuvata e potenziata da una dieta corretta in grado di compensare le carenze nutrizionali tipiche dell’invecchiamento a fronte della disabilità.