Superato l'effetto Covid, ma in alcune regioni la raccolta di plasma resta molto al di sotto della soglia di autosufficienza. Dove vanno a finire le sacche donate
Torna a salire la quantità di plasma raccolto grazie alla donazione in Italia. Dopo le grandi difficoltà del 2020, l'anno del lockdown e della prima più acuta fase della pandemia di Covid-19, nel 2021 la raccolta di plasma è tornata a crescere. Con un leggero segno positivo anche rispetto al 2019. C'è però il problema della difformità a livello nazionale: alcune regioni sono autonome, altre, come Campania e Lazio, sono in una situazione di stallo preoccupante. Ecco i dati resi noti il 3 febbraio dal Centro Nazionale Sangue.
DONAZIONE DI PLASMA: IL GAP FRA LE REGIONI
Secondo i dati del monitoraggio effettuato su base mensile dal Centro Nazionale Sangue, la raccolta di plasma, la parte liquida del sangue, nel 2021 è aumentata del 2 per cento rispetto al 2020 (e di pochissimo, lo 0,3 per cento, anche rispetto al 2019). Significa che in generale si sono recuperati i ritardi dovuti al Covid, ma restano problemi importanti in alcune aeree. Nel 2021 sono stati raccolti 861.000 chili di plasma. Friuli Venezia-Giulia, Marche ed Emilia Romagna si confermano le regioni in cui l'abitudine alla donazione di sangue e plasma è più consolidata e diffusa. In particolare la raccolta del Friuli per l’anno appena passato è stata di circa 24 chilogrammi per ogni 1.000 abitanti, una media molto più alta rispetto ai 18 chili per 1.000 abitanti che garantirebbe all’Italia l’autosufficienza dall’estero anche in materia di medicinali plasmaderivati. Chi resta invece indietro? Campania e Lazio non hanno mostrato segni di ripresa neanche nel 2021, con il Lazio che resta stabile con una raccolta di circa 7,7 chili ogni 1.000 abitanti e la Campania che accusa una lieve flessione rispetto all’anno passato, raccogliendo solo 5,6 chili per 1.000 abitanti.
L'IMPORTANZA DEL PLASMA ANCORA SOTTOVALUTATA
Qual è il problema? Innanzitutto una consapevolezza ancora inadeguata, sostiene il direttore del CNS, Vincenzo De Angelis: «I medicinali plasmaderivati garantiscono terapie salvavita per migliaia di pazienti. Ma se per il sangue intero l’Italia è ormai autosufficiente da anni, per quanto riguarda il plasma siamo ancora costretti a ricorrere al mercato estero, in particolare quello degli Stati Uniti. Certo il Covid non ha aiutato in questi anni e il rischio che renda anche difficile reperire medicinali plasmaderivati dall’estero è tutt’ora presente. Eppure basterebbe un piccolo sforzo da parte di tutti gli attori coinvolti per riuscire a rendere l’obiettivo strategico dell’autosufficienza davvero a portata di tutti».
COME AVVIENE LA DONAZIONE DI PLASMA
La procedura è la stessa della donazione di sangue, ma dal braccio del donatore il sangue entra in un’apparecchiatura (separatore cellulare) che, spiega il Centro Nazionale Sangue, «immediatamente divide la parte corpuscolata, ovvero globuli rossi, bianchi e piastrine, dalla componente liquida che viene raccolta in una sacca di circa 600-700 ml. La parte corpuscolata viene reinfusa nel donatore». Per il donatore, il recupero è velocissimo: «il volume di liquido che si sottrae con la donazione viene ricostituito grazie a meccanismi naturali di recupero, l’infusione di soluzione fisiologica e l’assunzione di liquidi».
COSA ACCADE AL PLASMA DONATO?
Il Centro Nazionale Sangue tiene a chiarire che ne è del plasma donato. «Viene conferito all’industria farmaceutica dove verrà usato per produrre medicinali salvavita, i cosiddetti plasmaderivati come l’albumina, le immunoglobuline o i fattori della coagulazione. I medicinali prodotti con il plasma donato non vengono usati a fini commerciali e, una volta terminato il processo di lavorazione, la casa farmaceutica restituisce il prodotto finito alla Regioni italiane. I farmaci plasmaderivati sono distribuiti gratuitamente ai pazienti che ne hanno bisogno ed eventuali lotti eccedenti il fabbisogno nazionale vengono donati a paesi in difficoltà tramite programmi di collaborazione internazionale».
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Donatella Barus
Giornalista professionista, dirige dal 2014 il Magazine della Fondazione Umberto Veronesi. E’ laureata in Scienze della Comunicazione, ha un Master in comunicazione. Dal 2003 al 2010 ha lavorato alla realizzazione e redazione di Sportello cancro (Corriere della Sera e Fondazione Veronesi). Ha scritto insieme a Roberto Boffi il manuale “Spegnila!” (BUR Rizzoli), dedicato a chi vuole smettere di fumare.