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Fabio Di Todaro
pubblicato il 14-11-2014

Le malattie della povertà dimenticate



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Malaria, tubercolosi e colera mietono milioni di vittime. L’Oms puntava ad averle sotto controllo entro il 2015. Ma all’industria farmaceutica interessano poco

Le malattie della povertà dimenticate

 

Delle 850 nuove formulazioni farmaceutiche approvate tra l’1 gennaio 2000 e il 31 dicembre 2011, soltanto 37 erano rivolte alle malattie trascurate: alla cui categoria appartengono, tra le altre, la malaria, la tubercolosi, il colera e diverse infezioni gastrointestinali. Sulle ricerca mirata a curare le malattie della povertà si investe ancora troppo poco. Così l’obiettivo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, che entro il 2015 contava di metterle sotto controllo, è destinato a diventare un’utopia.

 

EMERGENZE SANITARIE

Quella che è un’opinione piuttosto diffusa, trova conferma in uno studio pubblicato un anno fa su The Lancet. In due lustri - considerando 49 malattie trascurate, suddivise in cinque categorie - soltanto il 4% degli investimenti dell’industria farmaceutica è stato destinato a queste malattie, che nei Paesi in via di sviluppo continuano a mietere milioni di vittime. Ma il risultato non è eclatante, se si considera che appena quattro nuove molecole - tre per la malaria e una per la criptosporidiosi, poi rivelatasi efficace anche per curare la parassitosi intestinale nota come giardiasi - sono state messe in commercio per fronteggiare queste patologie. Vaccini, farmaci biologici e formulazioni alternative hanno completato il profilo dei dati portati alla luce da Belen Pedrique, epidemiologa del Drugs for Neglected Diseases Initiative, un’organizzazione no-profit impegnata nel favorire la ricerca a supporto di queste malattie, che colpiscono un miliardo di persone nel mondo, di cui la metà bambini.

 

SI INVESTE SULLE MALATTIE CRONICHE

Ecco l’istantanea dell’emergenza, di cui si parlerà nel corso della sesta edizione di Science for Peace, la conferenza mondiale sulla pace organizzata dalla Fondazione Veronesi. I dati dello studio sono stati tratti spulciando nei database della Food and Drug Administration e della European Medicines Agency - gli enti che regolano la messa in commercio di nuovi farmaci negli Stati Uniti e in Europa -, oltre che nei registri dei singoli Paesi firmatari del Programma di cooperazione per l’ispezione dei farmaci. Se per venticinque malattie s’è comunque visto che esistono diversi trials in corso, per 13 di esse non si registra alcun tentativo di trovare una soluzione.

Dieci anni dopo, dunque, la situazione è immutata rispetto a quella fotografata da una ricerca che nel 2002 aveva esplorato il mercato dei nuovi farmaci lanciati tra il 1975 e il 1999. All’epoca, delle 1393 molecole messe in commercio, soltanto 16 erano mirate alla cura della tubercolosi e di alcune malattie tropicali. «La ricerca farmacologica punta tutto sulle malattie croniche, perché assicurano un ritorno economico per lungo tempo - afferma Giuliano Rizzardini, direttore del dipartimento di malattie infettive dell’ospedale Sacco di Milano -. Dei pazienti acuti, invece, si preoccupano in pochi.

Eppure spesso basterebbero degli interventi sanitari e non farmacologici per abbattere i numeri di alcune di queste patologie. Penso alla malaria: sarebbe molto più efficace eliminare le zanzare responsabili della trasmissione piuttosto che lanciare sul mercato un nuovo farmaco, considerando che questi risultano troppo costosi per le popolazioni che ne avrebbero bisogno». Un discorso simile può essere fatto per l’Aids: per tenerla a bada più dei farmaci, probabilmente, potrebbe una corretta informazione.

 

 

IL CASO EBOLA

L’ultimo allarme, in ordine di tempo, è quello provocato dall’epidemia di ebola: partita dalla Guinea e arrivata anche in Europa e negli Stati Uniti. Anche in questo caso l’interesse delle case farmaceutiche - oggi al lavoro per mettere a punto un vaccino - s’è manifestato dopo che la malattia aveva oltrepassato i confini dell’Africa, come mai accaduto prima. «La comunità internazionale ha stanziato più di 900 milioni per questa emergenza, ma ne ha forniti appena 250: la risposta è stata estremamente lenta - afferma Eduardo Missoni, coordinatore del gruppo di ricerca sulla salute globale del Cergas, Università Bocconi di Milano -. Per arrestarne la propagazione occorre un intervento tempestivo delle autorità e disinteressato da parte delle multinazionali. Più dei ritorni del mercato, occorre preoccuparsi del numero di vite che si possono salvare».

                                
@fabioditodaro
Fabio Di Todaro
Fabio Di Todaro

Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).


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