Bioequivalenza e biodisponibilità. Sono i parametri per stabilire se un equivalente può essere considerato tale
Uno dei dubbi che maggiormente viene associato agli equivalenti riguarda l’efficacia. Sarà come l’originale? Se decido di cambiare farmaco otterrò gli stessi effetti? Sono queste le domande che il semplice cittadino pone al medico.
Per stabilire l’efficacia di un medicinale equivalente si deve compiere uno studio di bioequivalenza, cioè un’analisi volta a verificare l’equivalenza terapeutica tra due formulazioni simili. Il confronto degli effetti terapeutici di due medicinali contenenti lo stesso principio attivo è un modo cruciale di valutare la possibilità di sostituire un farmaco innovatore (di riferimento) con un medicinale essenzialmente simile (equivalente).
Come spiega il dottor Vittorio Bertele’, capo del Laboratorio di Politiche Regolatorie presso l’Istituto “Mario Negri” di Milano, «Un medicinale, per essere considerato equivalente, deve possedere la stessa bioequivalenza. Tecnicamente due farmaci sono bioequivalenti quando, con la stessa dose, i loro profili di concentrazione nel sangue rispetto al tempo sono così simili che è improbabile che essi possano produrre differenze rilevanti negli effetti di efficacia e sicurezza».
La legge prevede che la bioequivalenza possa variare entro una finestra tra meno 20 per cento e più 25 per cento. Per la stessa dose di farmaco, con la stessa formulazione e per la stessa tipologia di pazienti si può trovare una differenza di bioequivalenza con un intervallo di confidenza compreso fra l'80 per cento ed il 125 per cento.
«Una differenza –spiega Bertele’- del tutto paragonabile a quella intrinseca tra persona e persona. Quando diverse persone dello stesso sesso, peso ed età assumono lo stesso farmaco, la concentrazione nel sangue e molti altri parametri differiscono e non sono mai del tutto sovrapponibili. Una differenza non dipendente dal farmaco ma dalla persona. Una variabilità che quasi sempre, nei limiti di legge sulla bioequivalenza, non influisce sull’esito finale della risposta terapeutica».
Una variabilità che addirittura esiste anche nella stessa persona a seconda del periodo dell’anno. Un classico esempio sono gli ipertensivi. «In chi assume questo tipo di farmaci non è poi così raro, soprattutto durante i cambi di stagione, dover aggiustare le dosi. Grado di idratazione, orario dell’assunzione e quantità di cibo ingerito possono influire sulla biodisponibilità del farmaco. Sono queste, più che l’utilizzo dell’equivalente, le vere differenze che possono portare a dover aggiustare il dosaggio» conclude Bertele’.
Daniele Banfi
Giornalista professionista del Magazine di Fondazione Umberto Veronesi dal 2011. Laureato in Biologia presso l'Università Bicocca di Milano - con specializzazione in Genetica conseguita presso l'Università Diderot di Parigi - ha un master in Comunicazione della Scienza ottenuto presso l'Università La Sapienza di Roma. In questi anni ha seguito i principali congressi mondiali di medicina (ASCO, ESMO, EASL, AASLD, CROI, ESC, ADA, EASD, EHA). Tra le tante tematiche approfondite ha raccontato l’avvento dell’immunoterapia quale nuova modalità per la cura del cancro, la nascita dei nuovi antivirali contro il virus dell’epatite C, la rivoluzione dei trattamenti per l’ictus tramite la chirurgia endovascolare e la nascita delle nuove terapie a lunga durata d’azione per HIV. Dal 2020 ha inoltre contribuito al racconto della pandemia Covid-19 approfondendo in particolare l'iter che ha portato allo sviluppo dei vaccini a mRNA. Collabora con diverse testate nazionali.