La differenza linguistica alla base della diffidenza. Ecco perché
La definizione lascia poco spazio alle interpretazioni: un farmaco equivalente è un medicinale che ha la stessa composizione qualitativa e quantitativa di sostanze attive e la stessa forma farmaceutica del medicinale di riferimento nonché una bioequivalenza con il medicinale di riferimento dimostrata da studi appropriati di biodisponibilità. Ma cosa significa tutto ciò? Perché gli italiani sono ancora scettici?
QUESTIONE DI TERMINI
Come spiega il dottor Vittorio Bertele’, capo del Laboratorio di Politiche Regolatorie presso l’Istituto “Mario Negri” di Milano, «Tra le ragioni per la mancata adozione dei generici c'è anche l'infelice traduzione dall'inglese "generic". Nel mondo anglosassone ciò significa “senza marchio”. Da noi "generico" significa invece qualcosa senza precise caratteristiche e che si presta a più usi. Un farmaco, insomma, che va bene per tutto. Un'immagine davvero poco attraente». Ecco perché, quando si tocca l’argomento, sarebbe più opportuno parlare di equivalenti.
I REQUISITI DI LEGGE
Secondo quanto stabilito dalle regole internazionali un farmaco equivalente –da ora li chiameremo sempre così- deve rispettare tutta una serie di caratteristiche. «L’equivalente –spiega Bertele’- deve essere per legge “bioequivalente” alla specialità medicinale registrata, deve cioè avere lo stesso principio attivo presente nella medesima dose, la stessa forma farmaceutica, la stessa via di somministrazione e le stesse indicazioni terapeutiche». Perché allora tanto scetticismo?
SICUREZZA
«Accanto alla questione linguistica –prosegue Bertele’- l’assenza di marchio ben riconoscibile può essere visto dal cittadino con sospetto. Una della obiezioni principali è “sarà sicuro”? Bene, la mia risposta è sì e lo dimostra il complesso e rigoroso iter che viene eseguito per l’immissione di un farmaco in commercio» Un medicinale equivalente per poter ottenere l’autorizzazione deve presentare gli stessi requisiti di qualità del medicinale originatore ed è pertanto sottoposto agli stessi test condotti sui medicinali di riferimento. La qualità di un farmaco è ottenuta mediante un insieme di procedure previste dalla legge comunitaria (Good Manufacture Practice, GMP) e messe in atto dal fabbricante prima, durante e dopo la produzione del farmaco stesso.
RISPARMIO
A parità di efficacia perché allora scegliere l’equivalente? La risposta è presto detta: questione di risparmio. Questi farmaci, per legge, devono costare almeno il 20 per cento in meno di quelli di marca. In molti casi il risparmio raggiunge più del 50 per cento. Un vantaggio non indifferente sia per le tasche del cittadino sia per quelle del sistema sanitario nazionale. «L’utilizzo degli equivalenti è da incoraggiare. Oggi, in un momento di crisi come quello che stiamo attraversando, è fondamentale liberare risorse per il sistema sanitario. I nuovi farmaci costano. Per acquistarli è necessario tagliare altre spese. Gli equivalenti rappresentano una grande fonte di risparmio. Ecco perché bisogna promuoverne l’utilizzo» conclude Bertele’.
Daniele Banfi
Giornalista professionista del Magazine di Fondazione Umberto Veronesi dal 2011. Laureato in Biologia presso l'Università Bicocca di Milano - con specializzazione in Genetica conseguita presso l'Università Diderot di Parigi - ha un master in Comunicazione della Scienza ottenuto presso l'Università La Sapienza di Roma. In questi anni ha seguito i principali congressi mondiali di medicina (ASCO, ESMO, EASL, AASLD, CROI, ESC, ADA, EASD, EHA). Tra le tante tematiche approfondite ha raccontato l’avvento dell’immunoterapia quale nuova modalità per la cura del cancro, la nascita dei nuovi antivirali contro il virus dell’epatite C, la rivoluzione dei trattamenti per l’ictus tramite la chirurgia endovascolare e la nascita delle nuove terapie a lunga durata d’azione per HIV. Dal 2020 ha inoltre contribuito al racconto della pandemia Covid-19 approfondendo in particolare l'iter che ha portato allo sviluppo dei vaccini a mRNA. Collabora con diverse testate nazionali.