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Neuroscienze
Redazione
pubblicato il 10-03-2013

La testimonianza: «Aspettare un bambino e non vedere un futuro»



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Dicono che le donne in gravidanza sono più felici, anche più attive. La testimonianza: «Per me non è stato così. Volevo davvero questo figlio, ma l'ho atteso nella disperazione», ci scrive una lettrice

La testimonianza: «Aspettare un bambino e non vedere un futuro»

Dicono che le donne in gravidanza sono più felici, anche più attive. Per me, invece, è stato l’inferno. Avevo già sofferto di depressione anni prima, mi ero curata e dopo vari mesi di antidepressivi avevo potuto sospenderli d’accordo con il mio psichiatra. Allora avevo 17 anni. Sono rimasta incinta a 24, un bambino assolutamente voluto sia da me che da mio marito. E mi preparavo a un’attesa felice, popolata di sogni su quella vita che mi sarebbe cresciuta dentro. Invece…. Da quasi subito nausee a non finire, vomito, tristezza che io collegavo a questo malessere fisico. Speravo che tutto finisse una volta superata la soglia dei tre mesi, ma non è stato così. La mia tristezza è cresciuta, è diventata angoscia. Ricordo quante volte seduta sul bordo della vasca da bagno, dopo aver vomitato e mentre ero sola in casa, facevo amare previsioni per me e per quel bimbo che sì stavo formando. Temevo che si stesse piuttosto mal-formando, che la mia angoscia e i miei desideri di morte potessero influire negativamente sulla sua crescita. Ero disperata. Cercavo di nascondere i miei pianti ‘immotivati’, ma sia mio marito sia mia madre se ne accorgevano e fu mio marito a tirare fuori l’idea di andare dal mio vecchio psichiatra. Io non volevo,  ‘sono incinta’, dicevo, ‘non posso prendere medicine’. Ma Guido non mi lasciò scampo e mi trascinò alla visita. Discutemmo insieme al medico le terapie possibili, lo psichiatra mi assicurò che con quegli antidepressivi e a quelle dosi non c’erano assolutamente rischi per il bambino. Ero più a rischio io di far danni con quella negatività e quell’idea di morte che non m’abbandonava.

Per i restanti mesi finalmente fui anch’io una donna in attesa per lo meno serena. Attorno al bimbo che doveva nascere (un bel maschietto come rivelò un’ecografia) cominciai a fare sogni lieti e progetti.


Il parto andò bene. Piansi i primi giorni, ma pare che succeda a tutte. Solo che io continuai anche dopo il primo periodo e quando tornai a casa con quel fagottino mi prese una grande paura di non sapere ‘maneggiarlo’. Di potergli fare del male, di sbagliare tutto. Ero terrorizzata e disperata. Mia madre si trasferì da noi per aiutarmi e io lasciavo fare tutto a lei per quanto concerneva il bambino e  di conseguenza ero pure divorata dai sensi di colpa. La faccio breve: una bella depressione post partum per cui fui riportata dal mio psichiatra. Dopo alcuni tentativi che non diedero frutti mi prospettò l’idea di interrompere l’allattamento al seno così da potermi curare con antidepressivi e stabilizzatori dell’umore di tipo diverso e a un dosaggio pieno. Anche lì sensi di colpa, non ero una vera madre, una donna neanche capace di badare al suo bambino ecc., ma mio marito e mia madre mi convinsero. E così persi la dolcezza (che però in me era ‘avvelenata’) di nutrire al seno il mio bimbo, Gabriele, ma riacquistai la voglia di vivere, di stupirmi felicemente di ogni suo progresso, di fare progetti piccoli e grandi che confinavano con i sogni.


Ero una neo-mamma normale, nella pienezza del suo affetto e della gioia. La cura antidepressiva stavolta ho dovuto seguirla per oltre un anno e da allora sto ben attenta a cogliere i primi segni di una ricaduta. Finora non è più successo. Ho 30 anni, Gabriele va in prima elementare e non pare proprio che abbia subito danni dalle mie terapie in gravidanza. Perché lo psichiatra mi aveva assicurato che quella cura con quei farmaci non incidevano per nulla sul feto, ma io sono sempre rimasta attenta a studiare mio figlio man mano che cresceva per vedere se era proprio andata così. Ma Gabriele è un bimbo allegro e intelligente, un amore. E pure bello. Ma si sa cosa dice il proverbio: ogni scarraffone ….


Letizia G., Pescara


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