L’indebolimento della mucosa provocherebbe una risposta immunitaria eccessiva. Da qui i sintomi (gastrointestinali e non) che colpiscono chi ne soffre, che non è né celiaco né allergico al frumento
Fino a vent’anni fa erano considerati dei malati immaginari, perché lamentavano sintomi a cui nessuno specialista era in grado di fornire una spiegazione. Con il passare del tempo, però, l’attenzione nei confronti di chi soffre di gluten sensitivity (sensibilità al glutine non celiaca) è cresciuta. Numeri ufficiali non ce ne sono, ma secondo gli esperti questa condizione sarebbe ben più diffusa della celiachia e riguarderebbe da vicino fino a tre milioni di italiani. Diverse le ipotesi formulate circa i suoi possibili fattori scatenanti.
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VERSO UNA DEFINIZIONE DELLA SENSIBILITA’ AL GLUTINE NON CELIACA
L’ultima va alla radice della base biologica della sensibilità al glutine non celiaca. A formularla un gruppo di ricerca internazionale di cui fanno parte gli italiani Umberto Volta e Roberto Di Giorgio (Università di Bologna). Gli studiosi, in un lavoro apparso sulla rivista Gut, hanno fornito una possibile spiegazione dei sintomi, gastrointestinali e non, lamentati da un fronte crescente di adulti: né celiaci né allergici al frumento.
In queste persone il contatto tra alimenti farinacei (a base di frumento, orzo, segale, malto) e la mucosa intestinale scatenerebbe una risposta immunitaria acuta. Da qui la comparsa del gonfiore addominale, della diarrea, della fatica e della difficoltà a concentrarsi dopo un pasto a base di un primo, di un panino o di una pizza.
La ricerca è stata condotta confrontando le molecole contenute all’interno dei prelievi sierici ottenuti da pazienti celiaci (40), da altri che lamentavano sintomi simili ma senza mostrare i segni della malattia (80) e persone sane (40). È emerso che le persone che avevano una condizione riconducibile alla gluten sensitivity presentavano valori dei marcatori di danno alle cellule intestinali ben più elevati rispetto a quelli misurati nei celiaci.
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SINTOMI E SEGNI REGREDITI DOPO SEI MESI DI DIETA
I ricercatori sono giunti a ipotizzare che una simile risposta immunitaria nelle persone (probabilmente) sensibili al glutine sarebbe la conseguenza di una mucosa intestinale meno selettiva rispetto alla norma, che assicurerebbe una maggiore permeabilità tanto ai nutrienti quanto ai batteri: da qui l’aumento della risposta immunitaria.
A supportare l’ipotesi sono stati poi i risultati ottenuti dopo aver messo sottoposto queste persone a una dieta di sei mesi priva dell’apporto dei cereali «sospetti». Al termine del periodo di osservazione, i livelli della risposta immunitaria risultavano normalizzati. Di pari passo s’erano ridotti i sintomi, come riportato dai pazienti attraverso dei questionari.
Resta però ancora da capire se a scatenare la risposta sia il glutine o altre piccole molecole di zucchero (FODMAP) con analogo effetto irritante sulla mucosa intestinale, ma presenti in molti altri alimenti (legumi, verdure a foglia larga, latte e prodotti caseari, funghi, peperoni).
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COME SI IDENTIFICA OGGI LA GLUTEN SENSITIVITY?
In assenza di marcatori specifici, la diagnosi di sensibilità al glutine non celiaca avviene per esclusione. I pazienti che, pur presentando sintomi simili a quelli della celiachia e indotti dal glutine, non risultino, dopo esami ematici e biopsie endoscopiche, né celiaci né allergici al grano, sono classificati come sensibili al glutine. Sono quindi i sintomi, peraltro spesso analoghi a quelli di chi risulta affetto dalla sindrome del colon irritabile, a guidare lo specialista.
Ma in futuro non troppo remoto «per molti pazienti si potrebbe aprire la prospettiva di una terapia dietetica senza glutine, quale soluzione al proprio stato di malessere», conferma Luca Elli, coordinatore del centro per la prevenzione e diagnosi della malattia celiaca dell’ospedale Maggiore Policlinico di Milano. La gluten sensitivity rimane ancora un’entità da definire. Ma la ricerca, adesso, sembra guardare nella giusta direzione. Per la risposta definitiva i tempi potrebbero essere brevi.
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).