Nella trisomia 21 il danno a livello dei neuroni è frutto di un'eccessiva produzione di molecole tossiche. Studiare il metabolismo è fondamentale per tentare di limitare gli effetti. Inclusione sociale la vera sfida attuale
Per la sindrome di Down la ricerca è ancora troppo poca. Nelle scorse settimane l'Istituto Neurologico Carlo Besta ha elaborato una più che discutibile campagna di raccolta fondi per il 5x1000 che recitava «Per curare il suo cervello, ci serve il tuo aiuto». Una comunicazione subito ritirata che non deve però fare dimenticare che per la trisomia 21 fare ricerca è tutt'altro che inutile. Nonostante le difficoltà di finanziamento e lo scarso interesse da parte del mondo della ricerca di base - basta osservare l'esiguo numero di studi pubblicati sull'argomento -, emerge sempre più chiaramente che il danno a livello cerebrale che avviene nella sindrome di Down è frutto di un alterato metabolismo. Comprenderne le interazioni è il primo passo per cercare di limitare l'effetto del cromosoma in più.
CHE COS'E' LA SINDROME DI DOWN?
La sindrome di Down - nota anche con il nome di trisomia 21 - è una condizione in cui tutte le cellule del corpo della persona presentano tre copie del cromosoma 21 anziché due. Descritta per la prima volta da nel 1866 da John Langdon Down, il collegamento tra il cromosoma in più e lo sviluppo della sindrome avvenne solo nel 1959 grazie al genetista francese Jerome Lejeune. La sindrome di Down si manifesta principalmente con un ritardo in alcune capacità cognitive e nella crescita fisica e con particolari caratteristiche del viso e del corpo. Secondo le statistiche la trisomia 21 è presente in un bambino su 1200.
IL «DIFETTO» E' NEL METABOLISMO
Nei decenni successivi alla scoperta di Lejeune la ricerca si è concentrata sul ruolo del cromosoma in eccesso. L'ipotesi iniziale dello scienziato francese, impossibile da verificare negli anni '60, era quella di un problema nel metabolismo cellulare - in particolare un accumulo di sostanze - con il risultato finale di intossicare i neuroni causando così la disabilità intellettiva. Un'intuizione oggi confermata dalla ricerca: diversi studi di metabolomica - la scienza che studia studia e misura i processi cellulari dell'organismo - ad opera della Tufts University School of Medicine hanno individuato che nei feti affetti da trisomia 21 c’è un eccessivo stress ossidativo, ovvero una produzione incontrollata di molecole tossiche che danneggiano le cellule.
Non solo, un recente articolo pubblicato dalla rivista Scientific Reports - opera del professor Pierluigi Strippoli dell’Università di Bologna - ha individuato per la prima volta nel sangue e nelle urine dei bambini con sindrome di Down un profilo metabolico caratteristico dei piccoli con trisomia 21 indipendentemente dalla loro età, sesso e stato di digiuno. In particolare le sostanze rilevate con concentrazioni anomale sembrerebbero esserlo in modo proporzionale al modello previsto dai genetisti quando c’è un cromosoma in più. Il prossimo passo sarà ora quello di collegare le precise alterazioni metaboliche individuate con i geni responsabili presenti nel cromosoma 21. La ricerca si sta infatti concentrando sull'individuazione della zona del cromosoma maggiormente critica, ovvero qualla che «disturba» maggiormente il cervello.
PROVARE A LIMITARE I DANNI A LIVELLO METABOLICO
Poter individuare le anomalie maggiormente responsabili della disabilità intellettiva rappresenta dunque il primo passo per pensare di poterle correggerle a livello metabolico. Un modo per tamponare l’eccessiva produzione di sostanze tossiche per i neuroni e così ridurre il danno a livello cerebrale. A tal proposito proprio il gruppo di ricerca del professor Strippoli - in collaborazione con l'Università di Firenze, di Padova e di Cork (Irlanda) - stanno progettando grazie all'utilizzo della CRISPR di rimuovere in vitro la regione critica ad oggi individuata per capire come questa azione modifichi il metabolismo dei neuroni.
NON SOLO RICERCA: L'INCLUSIONE E' LA VERA SFIDA ATTUALE
La ricerca, poca, che viene effettuata non deve però far dimenticare che il grande obbiettivo dell'inclusione sociale per chi ha la sindrome di Down, la vera sfida di oggi. Chiare, a tal proposito, le parole di CoorDown (Coordinamento Nazionale Associazioni delle Persone con Sindrome di Down) e dell’AIPD (Associazione Italiana Persone Down) in riferimento alla campagna di comunicazione dell'Istituto Besta. «Rispetto alla possibilità di fare ricerca, certamente non contestiamo la ricerca stessa, con la quale da sempre collaboriamo, ma la bontà di un progetto (di ricerca) si giudica anche da come esso viene presentato. Per quanto riguarda specificamente la sindrome di Down, il fine della ricerca è trovare quali possono essere i geni coinvolti nel mutamento e le relative interazioni. Non si tratta di una singola via metabolica ad essere alterata, ma di una complessa rete che ancora va studiata e la strada è lunghissima. Il fatto ancora più importante, però, è la violenza e la crudeltà delle parole utilizzate per quel messaggio da noi contestato («Per curare il suo cervello, ci serve il tuo aiuto») e le conseguenze che quelle parole possono avere sulle persone con sindrome di Down e sulle loro famiglie. Da sempre, inoltre, ribadiamo quanto l’inclusione passi da un cambiamento culturale della società tutta, che si misura anche dall’uso di un linguaggio corretto e rispettoso verso la disabilità e la diversità».
Daniele Banfi
Giornalista professionista del Magazine di Fondazione Umberto Veronesi dal 2011. Laureato in Biologia presso l'Università Bicocca di Milano - con specializzazione in Genetica conseguita presso l'Università Diderot di Parigi - ha un master in Comunicazione della Scienza ottenuto presso l'Università La Sapienza di Roma. In questi anni ha seguito i principali congressi mondiali di medicina (ASCO, ESMO, EASL, AASLD, CROI, ESC, ADA, EASD, EHA). Tra le tante tematiche approfondite ha raccontato l’avvento dell’immunoterapia quale nuova modalità per la cura del cancro, la nascita dei nuovi antivirali contro il virus dell’epatite C, la rivoluzione dei trattamenti per l’ictus tramite la chirurgia endovascolare e la nascita delle nuove terapie a lunga durata d’azione per HIV. Dal 2020 ha inoltre contribuito al racconto della pandemia Covid-19 approfondendo in particolare l'iter che ha portato allo sviluppo dei vaccini a mRNA. Collabora con diverse testate nazionali.