Il "difetto" genetico causa uno stress ossidativo a livello dei neuroni. Agire su di esso nel grembo materno è considerata la strategia principale per ridurre il danno cerebrale nelle persone con trisomia 21
Ogni 21 marzo si celebra la Giornata Mondiale della Sindrome di Down. Che sia il 21 non è affatto un caso perché è proprio quel cromosoma numero 21 in eccesso a caratterizzare le persone che ne soffrono. Nonostante un'anomalia genetica tra le più diffuse al mondo -sono almeno 6 milioni le persone al mondo- la ricerca sulla sindrome di Down non è mai stata finanziata a dovere. Quei pochi gruppi di ricerca attivi però stanno decodificando sempre più in profondita i segreti di quel cromosoma in più. Ed è così che forse in futuro i danni a livello neurologico dovuti allo "stress ossidativo" potrebbero essere limitati portando, di fatto, ad una cura a partire dall'epoca prenatale per il principale sintomo della sindome di Down.
IDENTIKIT DELLA SINDROME DI DOWN
La sindrome di Down - nota anche con il nome di trisomia 21 - è una condizione in cui tutte le cellule del corpo della persona presentano tre copie del cromosoma 21 anziché due. Descritta per la prima volta da nel 1866 da John Langdon Down, il collegamento tra il cromosoma in più e lo sviluppo della sindrome avvenne solo nel 1959 grazie al genetista francese Jerome Lejeune. La sindrome di Down si manifesta principalmente con un ritardo in alcune capacità cognitive e nella crescita fisica e con particolari caratteristiche del viso e del corpo. Secondo le statistiche la trisomia 21 è presente in un bambino su 1200.
UN DIFETTO DEL METABOLISMO CELLULARE
Nei decenni successivi alla scoperta di Lejeune la ricerca si è concentrata sul ruolo del cromosoma in eccesso. L'ipotesi iniziale dello scienziato francese, impossibile da verificare negli anni '60, era quella di un problema nel metabolismo cellulare - in particolare un accumulo di sostanze - con il risultato finale di intossicare i neuroni causando così la disabilità intellettiva. A tal proposito negli ultimi anni sono stati pubblicati importanti lavori -a cura dell'italo-statunitense Diana Bianchi e dell'italiano Pierluigi Strippoli- che, indagando il metabolismo hanno effettivamente dimostrato come una porzione del cromosoma 21 sovrannumerario sia responsabile della produzione in eccesso di molecole tossiche per la cellula. Risultati ottenuti sia in vitro sia nei campioni di sangue e urine delle persone con sindrome di Down.
RIDURRE GLI EFFETTI DELLO STRESS OSSIDATIVO
Ad oggi dunque una delle ipotesi maggiormente suffragate dai dati sino ad ora raccolti è quella che vede lo stress ossidativo causato dall'alterato metabolismo cellulare una delle principali cause dei danni a livello neurologico. Partendo da questa osservazione gli scienziati sono al lavoro nel tentativo di mettere a punto un trattamento prenatale volto a ridurre lo stress ossidativo e la neuroinfiammazione per migliorare così lo sviluppo cerebrale delle persone con sindrome di Down. Un trattamento da effettuarsi in epoca pre-natale, momento di massimo sviluppo del cervello e momento in cui già si registrano le prime anomalie metaboliche dovute al cromosoma in più. A tal proposito, uno studio pubblicato dal gruppo della professoressa Bianchi a fine 2020 sull'American Journal of Human Genetics ha dimostrato che in cellule del liquido amniotico e in modello animale è stato possibile ridurre la quantità di molecole "tossiche" circolanti attraverso la somministrazione di apigenina, una particolare molecola antiossidante. Nei topi ciò si è tradotto in un miglioramento dello sviluppo cerebrale.
UN NUOVO MODELLO DI STUDIO
C'è poi un'altra notizia positiva nella ricerca sulla sindrome di Down. Una delle principali difficoltà tecniche nel condurre ricerche sulla trisomia 21 è sempre stata l'assenza di un buon modello animale. Limite che sembra ormai essere alle spalle grazie al contributo della Johns Hopkins Medicine e della Tottori University. A loro va il merito di aver creato il primo topo con trisomia 21 avente caratteristiche del tutto sovrapponibili -in particolare a livello cerebrale- a quelle della sindrome di Down dell'uomo. I risultati sono stati pubblicati in gennaio sull'American Journal of Human Genetics. Un grosso passo avanti che potrà dare un'accelerata ai futuri studi sulla trisomia 21.
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Fonti
Daniele Banfi
Giornalista professionista del Magazine di Fondazione Umberto Veronesi dal 2011. Laureato in Biologia presso l'Università Bicocca di Milano - con specializzazione in Genetica conseguita presso l'Università Diderot di Parigi - ha un master in Comunicazione della Scienza ottenuto presso l'Università La Sapienza di Roma. In questi anni ha seguito i principali congressi mondiali di medicina (ASCO, ESMO, EASL, AASLD, CROI, ESC, ADA, EASD, EHA). Tra le tante tematiche approfondite ha raccontato l’avvento dell’immunoterapia quale nuova modalità per la cura del cancro, la nascita dei nuovi antivirali contro il virus dell’epatite C, la rivoluzione dei trattamenti per l’ictus tramite la chirurgia endovascolare e la nascita delle nuove terapie a lunga durata d’azione per HIV. Dal 2020 ha inoltre contribuito al racconto della pandemia Covid-19 approfondendo in particolare l'iter che ha portato allo sviluppo dei vaccini a mRNA. Collabora con diverse testate nazionali.