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Pediatria
Fabio Di Todaro
pubblicato il 09-07-2014

Epilessie infantili, l’eccellenza è in Italia



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A Renzo Guerrini, neuroscienziato dell’ospedale Meyer di Firenze, dedicata la copertina di Lancet Neurology. «Puntiamo a una prevenzione sempre più precoce»

Epilessie infantili, l’eccellenza è in Italia

Il pioniere degli studi sulla genetica dell’epilessia e delle malformazioni della corteccia cerebrale è uno scienziato italiano, nato a Terni 58 anni fa e incoronato da alcuni neurologi di fama mondiale come «una combinazione straordinaria di clinico e scienziato che ha classificato nuove forme di sindromi epilettiche». «Colui che vede le cose che altri non vedono» è Renzo Guerrini, direttore del dipartimento di neuroscienze dell’ospedale pediatrico Meyer di Firenze e ordinario di neuropsichiatria infantile presso l’ateneo toscano.

Scelse medicina «per seguire le orme del nonno paterno, chirurgo ostetrico»: laurea all’università di Perugia, specializzazione in neurologia pediatrica a Pisa e un interesse per le epilessie infantili nato durante un dottorato in neurofisiologia svolto a Marsiglia. Oggi Guerrini (nella foto accanto) è una delle eccellenze scientifiche italiane a cui la prestigiosa rivista Lancet Neurology ha dedicato un profilo che sa di incoronamento nel campo dello studio delle epilessie.

Guerrini, è una bella soddisfazione, vero?

«È uno sprone ad andare avanti. Ce n’è di strada da fare per arrivare a una cura per le epilessie».

La ricerca punta soprattutto a trovare una soluzione a quelle più diffuse in età infantile: perché?

«Sono più frequenti e poi anche chi scopre di soffrirne in età adulta in realtà si porta dietro le alterazioni di alcune zone cerebrali da quando era bambino. Si possono sviluppare dall’età neonatale e per tutto il corso dell’infanzia: possono essere il preludio di forme che si trascinano anche in età adulta, ma spesso regrediscono con l’adolescenza fino a scomparire».

Molti credono di essere di fronte a una forma di epilessia soltanto quando compaiono le crisi convulsive: è sempre vero?

«Le convulsioni sono il segno che spesso permette la diagnosi, ma ve ne sono degli altri: come gli spasmi ripetuti, gli episodi di interruzione del contatto con l’ambiente, la deviazione di un occhio, la paralisi transitoria di un segmento corporeo e i deficit cognitivi. I segni della malattia, nel bambino come nell’adulto, sono eterogenei e dipendono dall’area cerebrale interessata dall’attivazione impropria».

Come si sviluppa la malattia?

«Sappiamo che le diverse forme coinvolgono oltre 150 geni, che oggi utilizziamo per una diagnosi precoce. Dal punto di vista clinico siamo di fronte a una patologia che comporta un’alterazione delle comunicazioni a livello cerebrale. È chiaro, dunque, che non potrà esserci un solo approccio. In laboratorio si cerca di personalizzare la terapia, ma da qui a poter farlo nella pratica clinica passeranno diversi anni».

Epilessie e autismo nell’età infantile: qual è la correlazione?

«Alcuni geni risultano modificati sia nei bambini epilettici che negli autistici. D’altronde anche l’autismo dipende da alcune alterazioni dello sviluppo cerebrale, sebbene ancora nessuno sia riuscito a scoprirle. Ma tra le due malattie non è dimostrato un nesso di causa-effetto».

Il bambino epilettico può avere una vita come quella di tutti i suoi coetanei?

«Dipende dalla severità della malattia. Alcune forme, come quelle rolandiche e la picnolessia, non danno alcun impedimento, anche se molti pediatri si ostinano a vietare l’attività sportiva e, talvolta, i vaccini. In altri casi le limitazioni sono dovute all’estensione del danno cerebrale: in linea di massima un bambino epilettico non va mai lasciato solo nella vasca da bagno, al mare o in bicicletta».

L’epilessia ha delle ripercussioni sulle capacità riproduttive?

«Alcune forme della malattia implicano complicanze rilevanti: non è raro trovare dei soggetti epilettici che non sono in grado di avere figli. Ma esiste anche una forma dell’epilessia, provocata dall’alterazione del gene Scn1a, in cui i genitori risultano affetti in modo lieve, mentre i figli possono presentare epilessie infantili gravi».

Oggi è più efficace la terapia con i farmaci o la chirurgia?

«Se l’area cerebrale non è troppo estesa, è meglio rimuoverla: si tratta di una porzione cerebrale inattiva, ma che con la sua alterazione è la causa della malattia. Asportarla non crea alcun danno e risolve il problema. I farmaci, invece, permettono soltanto di attenuare i segni delle epilessie: oggi si utilizzano quasi venti molecole, ma non tutti rispondono in maniera efficace». 

Cosa è lecito aspettarsi dalla ricerca?

«Con Desire, un progetto finanziato con 12 milioni dall’Unione Europea, stiamo osservando le specifiche manifestazioni della malattia nei singoli pazienti. Puntiamo, tra gli altri aspetti, ad analizzare il loro codice genetico alla ricerca di nuove mutazioni che permettano di personalizzare le terapie: non è da escludere l’utilizzo di nanoparticelle per convogliare il farmaco soltanto nell’area alterata che provoca la malattia. Con l’utilizzo di alcune tecniche di neuroimaging, invece, puntiamo a individuare in maniera più accurata l’area alterata per rimuoverla con la massima precisione». 

Quale consiglio vuole dare a una mamma che si trova ad affrontare la prima crisi epilettica del proprio figlio?

«È un momento quasi sempre drammatico, in cui il genitore si sente impotente. Prima di ricorrere all’intervento del personale sanitario, un genitore deve: togliere eventuali oggetti o alimenti presenti nella bocca del bambino e sdraiarlo su un fianco. Spesso le crisi finiscono spontaneamente in un minuto.

Guerrini, per chiudere: un giorno si potrà sconfiggere l’epilessia?

«La nostra capacità di fare prevenzione migliorerà con le conoscenze di quella miriade di malattie genetiche rare che causano problemi allo sviluppo cerebrale. Ce la metteremo tutta, anche perché l’industria farmaceutica non ci aiuta: di fronte alle malattie rare c’è sempre poco interesse».  


@fabioditodaro

 

Fabio Di Todaro
Fabio Di Todaro

Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).


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