I consigli dell’esperto per comprendere differenze e opportunità di svezzamento e autosvezzamento
Intorno al sesto mese di vita del bambino, i genitori si trovano inevitabilmente ad affrontare il tema dello svezzamento: meglio quello tradizionale o l’autosvezzamento? Lo abbiamo chiesto al pediatra Alberto Ferrando, Presidente dell’Associazione Pediatri della Liguria.
NON CHIAMIAMOLO SVEZZAMENTO
I termini svezzamento e autosvezzamento, ampiamente entrati nel linguaggio comune, sono utilizzati dalla maggior parte delle persone per indicare due approcci differenti con cui si introducono cibi diversi dal latte nell’alimentazione del bambino in forma solida, semisolida o liquida. Nell’ultimo periodo, però, i pediatri stanno cercando di sostituire questi termini con alimentazione complementare e alimentazione complementare a richiesta. Perché?
«Il termine "svezzamento” fa riferimento all'idea di "staccare il bambino da un vizio”– spiega Alberto Ferrando – ma prendere il latte al seno o al biberon non è certo un vizio. Per allontanarci da questa visione sarebbe meglio parlare di alimentazione complementare per indicare lo svezzamento e alimentazione complementare a richiesta per l’autosvezzamento. Quando si inizia lo svezzamento, infatti, i cibi diversi dal latte vengono introdotti gradualmente nella dieta del bambino, ma il latte materno o artificiale continuerà a fornire una parte significativa dei nutrienti di cui il bambino ha bisogno per crescere sano. Nel parlare comune restano molto utilizzati i termini svezzamento e autosvezzamento, ma è importante conoscerne il significato».
LE DIFFERENZE
Ogni bambino e ogni famiglia sono unici, e per capire quale approccio sia più adatto al nostro caso, è fondamentale comprendere le principali differenze tra svezzamento e autosvezzamento. Nello svezzamento tradizionale sono i genitori, con l’ausilio del pediatra, a guidare attivamente il processo di introduzione di cibi diversi dal latte nella dieta del bambino, scegliendo gli alimenti da offrire, le consistenze, le porzioni, i tempi e imboccando il bambino.
Il termine autosvezzamento, coniato dal pediatra Lucio Piermarini in un articolo del 2002 pubblicato sulla rivista "Medico e bambino", indica invece il passaggio da un'alimentazione lattea a una solida affidato all'autoregolazione del bambino, che deciderà autonomamente quanto mangiare. In questo caso i genitori propongono il loro stesso cibo opportunamente adattato (sminuzzato, triturato, macinato) usando le posate o permettendo al bambino di esplorare, toccare e mangiare autonomamente con le mani i cibi, spesso offerti sul tavolo del seggiolone in pezzi o strisce adatte alla sua presa. Nel caso in cui il bambino si alimenti esclusivamente in maniera autonoma impugnando gli alimenti, escludendo quindi l'utilizzo del cucchiaio o di altre posate da parte dei genitori, si parla più precisamente di "Baby led weaning".
COSA SCEGLIERE?
Sia lo svezzamento sia l'autosvezzamento possono essere approcci validi, e la scelta tra uno e l'altro metodo dipende dalle abitudini e dalle preferenze della famiglia, ma anche dalle esigenze del bambino.
«Quando si avvicina il momento dello svezzamento e i genitori si rivolgono a me per un consiglio – spiega il pediatra Alberto Ferrando – , come prima cosa mi informo sulle loro abitudini alimentari. Se non sono delle migliori, con un alto consumo di cibi precotti e junk food, il cosiddetto cibo spazzatura, consiglio di preferire lo svezzamento tradizionale in modo da poter controllare meglio quali cibi vengono introdotti nella dieta del bambino. Questo approccio potrebbe consentire loro di preparare pasti più equilibrati e sani, fornendo un modello positivo per le scelte alimentari. Se invece la famiglia è già pronta e segue un’alimentazione sana, varia ed equilibrata, si può iniziare con l’autosvezzamento, permettendo al bambino di provare un pochino tutto quello che mangiano anche i genitori, non ricorrendo alle classiche minestrine, liofilizzati o omogeneizzati».
L’EDUCAZIONE AL GUSTO
Il periodo dello svezzamento è fondamentale per gettare le basi per una buona educazione alimentare. «Esiste una finestra temporale che va dai sei mesi all’anno e mezzo in cui i bambini accettano di sperimentare e mangiare un po’ di tutto», ricorda il dottor Ferrando. «Successivamente, invece, scatta spesso la neofobia, ovvero la riluttanza a provare alimenti nuovi o sconosciuti. Per questo è fondamentale gettare le basi per una buona educazione alimentare nel periodo dello svezzamento, lasciando che il bambino sperimenti tutti i gusti. Anche alimenti amari o acidi, di norma meno accettati rispetto a quelli dolci, salati o al gusto chiamato “umami”, se sono presentati con costanza finiranno per essere mangiati. I bambini che praticano alimentazione complementare a richiesta di norma sono quelli che durante lo loro infanzia mangiano più volentieri frutta e verdura».
UNA METÀ VIA? SI PUÒ
Oltre alle abitudini alimentari della famiglia, a influenzare la scelta verso lo svezzamento o l’autosvezzamento c’è anche il tempo (e la pazienza) che i genitori hanno a disposizione. Dare da mangiare un omogeneizzato al proprio bambino può essere sicuramente più rapido e meno faticoso rispetto all’autosvezzamento che richiede più tempo, senza considerare il disordine che si viene a creare quando il bambino, mentre impara a maneggiare e a mangiare gli alimenti, li sparge ovunque, sul seggiolone e sul pavimento. C’è una bella notizia però: la scelta tra svezzamento e autosvezzamento non è vincolante o definitiva e i due metodi possono essere alternati in base alle esigenze dei genitori.
«Uno svezzamento di tipo misto è assolutamente consentito - rassicura Alberto Ferrando -, specialmente se entrambi i genitori lavorano e il tempo è poco. Va comunque considerato che, anche se si propende per lo svezzamento tradizionale, man mano che il bambino cresce, vorrà comunque mangiare quello che mangiano i genitori. Questa è una grossa occasione per rivedere un po’ il nostro stile alimentare».
COSA EVITARE?
Mangiare un po’ di tutto sì, ma delle regole ci sono.
«Per il primo anno di vita non possiamo dare al bambino latte vaccino e miele, a rischio di botulismo», precisa Alberto Ferrando. «Da limitare il più possibile salumi, alimenti preconfezionati e eccessivamente zuccherati così come un eccesso di proteine. Tuttavia, ricordiamo sempre che è la dose che fa il veleno: dare un assaggino di gelato, preferendo gusti delicati come frutta o fior di latte, si può. Che si utilizzi l’uno o l’altro approccio, quello che cerco di comunicare ai genitori è che durante lo svezzamento non è tanto importante quanto e cosa mangia il bambino, ma piuttosto osservare il piacere che manifesta nello stare a tavola insieme ai genitori e ai parenti. Inoltre, non bisogna dimenticare che il bambino deve mangiare quando ha fame e non va mai forzato. Il rischio è quello che il bambino si abitui a mangiare solamente cose poche salutari perché i genitori, pur di farlo mangiare anche quando non ne ha voglia, cedono un po’ troppo spesso a dolci, gelati e cioccolata».
IL RISCHIO DI SOFFOCAMENTO
Il timore principale dei genitori quando i bambini iniziano l’alimentazione complementare è il rischio di soffocamento. Ma quanto è diffuso? È più frequente nello svezzamento o nell’autosvezzamento? Come evitarlo?
Come spiega il Ministero della Salute nel documento “Linee di indirizzo per la prevenzione del soffocamento da cibo”, in Italia ci sono circa 1000 ospedalizzazioni all’anno causate da episodi di soffocamento, mentre i “quasi-eventi” e gli episodi di minore gravità sono circa 80,000 l'anno.
«Il rischio di soffocamento, che è sovrapponibile in entrambi i tipi di svezzamento, tradizionale o a richiesta – precisa il dottor Alberto Ferrando – è molto frequente nei bambini molto piccoli, sotto i quattro anni. Perché i genitori possano intervenire tempestivamente in caso di soffocamento è fondamentale che il pediatra insegni loro la manovra di disostruzione da un corpo estraneo, detta manovra di Heimlich. È importante spiegare ai genitori che il timore del soffocamento non può essere tale da impedire ai bambini di assaggiare alimenti solidi, se opportunamente tagliati e scelti con criterio».
I CONSIGLI DEL MINISTERO
Ecco gli accorgimenti principali del Ministero della Salute per limitare al massimo il rischio di soffocamento:
- Evitare alimenti troppo piccoli (es. noccioline e semi), troppo grandi (es. grossi pezzi di frutta e verdura cruda), tondi (es. ciliegie e uva) o a forma cilindrica (es. wurstel e carote)
- Evitare alimenti con consistenza dura, appiccicosa (es. burro d’arachidi), fibrosa (es. sedano) e comprimibile (es. wurstel e marshmallow)
- Tagliare gli alimenti cilindrici a listarelle e quelli tondi in quarti
- Eliminare nervature e filamenti
- Cuocere i cibi pericolosi fino a quando diventano morbidi o tagliarli in pezzi piccoli o tritarli/grattugiarli
- Evitare frutta a guscio e semi, caramelle e gomme da masticare fino ai 4/5 anni
«Esistono anche regole comportamentali che riducono moltissimo il rischio di soffocamento – conclude Ferrando – come lasciare che il bambino mangi in maniera concentrata, senza la distrazione della televisione o di giochi e videogiochi, senza forzarlo mai a mangiare se non mostra appetito. Il bambino dovrebbe mangiare in un ambiente rilassato e tranquillo, sempre sotto la supervisione di qualcuno».
Edit: l'articolo è stato aggiornato in data 23/05/2024
Caterina Fazion
Giornalista pubblicista, laureata in Biologia con specializzazione in Nutrizione Umana. Ha frequentato il Master in Comunicazione della Scienza alla Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA) di Trieste e il Master in Giornalismo al Corriere della Sera. Scrive di medicina e salute, specialmente in ambito materno-infantile