L'intervento chirurgico (anche in laparoscopia) rimane la prima scelta per la cura dell'appendicite. Terapia antibiotica possibile soltanto in alcuni casi
Non sempre è indispensabile ricorrere alla chirurgia in caso di appendicite. Ora una ricerca condotta negli Stati Uniti ha analizzato la percezione dei potenziali pazienti rispetto alle varie opzioni terapeutiche.
Nel mondo c'è chi muore ancora di appendicite
APPENDICITE: SINTOMI E TERAPIE
Chi l'ha affrontata, la descrive come una delle esperienze più dolorose della propria vita. L'attacco di appendicite - determinato dall'infiammazione dell'appendice vermiforme, un tubulo che ha origine dal prima porzione del grosso intestino (cieco), per cui si ipotizza un ruolo secondario nel sistema immunitario in età infantile - si manifesta con un dolore lancinante a livello addominale, che può essere accompagnato anche da altri sintomi: come la febbre, la perdita dell'appetito, la nausea e il dolore alla gamba destra. Ma è sopratutto il dolore acuto a condizionare le volontà dei pazienti: più propensi a optare per chirurgia e non per la terapia antibiotica, in modo da dover accantonare il pensiero di una possibile recidiva.
COSA SCEGLIEREBBERO I PAZIENTI?
L'ipotesi deriva dalle conclusioni di un sondaggio - pubblicate sulla rivista scientifica Jama Surgery - condotto su 1.728 cittadini statunitensi: persone sane al momento dello studio, a cui è stato chiesto di immaginarre loro o i loro figli colpiti da un attacco di appendicite. Quale trattamento sceglierebbero per superare il dolore? Tre le possibili risposte: trattamento farmacologico, chirurgico classico (rimozione dell'appendice infiammata attraverso un'incisione sull'addome di lunghezza compresa tra cinque e dieci centimetri) o moderno (in laparoscopia: si raggiunge l'appendice attraverso tre piccoli fori praticati sull'addome). La maggior parte dei pazienti, oltre l'85 per cento, non ha avuto dubbi: via l'appendice, via il dolore. A questa quota se n'è aggiunta un'altra (4,8 per cento) rappresentante quei potenziali pazienti che vorrebbero sì essere operati, ma riducendo al minimo l'impatto estetico dell'intervento. L'ultima fetta, di poco superiore al dieci per cento, preferirebbe conservare l'appendice (priva di ruolo in età adulta) e superare la crisi ricorrendo agli antibiotici. Poco differenti sono risultate le risposte date immaginando che ad avere l'appendicite non fosse l'intervistato, ma suo figlio: per cui si preferirebbe di gran lunga la laparoscopia (79,4 per cento delle risposte) alla chirurgia tradizionale (6,1 per cento), a chiudere la terapia antibiotica (14,5 per cento).
Resistenza agli antibiotici: questi i batteri più pericolosi per l'uomo
I VANTAGGI DELLA CHIRURGIA
Una considerazione è doverosa, poiché riportata dagli stessi autori dello studio: non è detto che le risposte fornite in condizioni di serenità siano identiche a quelle che le stesse persone potrebbero dare nel momento in cui dovessero essere vittime - loro o i loro figli - di un attacco di appendicite. Detto ciò, le speranze sono molto vicine alla realtà misurabile negli ospedali italiani. «Intanto una premessa: non è il paziente a scegliere l'opzione terapeutica, ma il chirurgo chiamato a gestire il caso in urgenza, a cui poi spetta il compito di diffondere una comunicazione chiara e trasparente nei confronti dell'assistito - afferma Michele Carlucci, primario del reparto di chirurgia generale, delle urgenze e del pronto soccorso dell’ospedale San Raffaele di Milano -. La chirurgia rimane la prima opzione per curare l'appendicite, sopratutto tutti quei casi in cui l'infiammazione risulta già diffusa al peritoneo. L'approccio per via laparoscopica è oggi indicato anche per le forme più acute e per i pazienti anziani. In questo modo il decorso postoperatorio migliora: il dolore si riduce, così come il rischio di infezioni della ferita. Ma per rimuovere un'appendice infiammata in laparoscopia occorre una buona esperienza da parte del chirurgo». Oggi in Italia si effettuano poco meno di sessantamila interventi annui di appendicetomia: il trattamento di chirurgia d'emergenza più frequente, dopo quello dell'ernia. I tempi di degenza sono ormai ridotti (quasi mai si va oltre i due giorni).
QUANDO POSSONO BASTARE GLI ANTIBIOTICI
A destare curiosità è però la risposta data da poco più di un paziente su dieci, che immaginando di avere un attacco acuto di appendicite preferirebbe evitare la sala operatoria per ricorrere alla terapia antibiotica, che comunque quasi sempre viene utilizzata prima di ricorrere all'intervento chirurgico. Diversi studi, in effetti, ne hanno ribadito l'efficacia. Non in tutti i casi, però, come puntualizza Carlucci. «Il trattamento esclusivo con antibiotici espone il paziente colpito da un'appendicite a due rischi: quello che l'attenuazione dei sintomi mascheri un'evoluzione del problema e quello di dover comunque operarlo in un secondo momento, quando l'appendicite s'è aggravata». L'antibioticoterapia è dunque possibile soltanto nei casi in cui «l'esordio dell'appendicite risulta lieve: con un dolore prima generico e soltanto in un secondo momento localizzato, con un peritoneo che all'ecografia non risulta colpito dall'infiammazione e con livelli non troppo alterati di globuli bianchi e proteina C reattiva». Il monitoraggio del paziente è comunque necessario, per essere sicuri che in un secondo momento non suventri comunque la necessità di portarlo in sala operatoria.
Fonti
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).