Il trattamento del tumore al rene è tra le migliori al mondo. Più 10% di sopravvivenza rispetto alla media europea. La vera sfida è nella diagnosi precoce
Per il tumore del rene l'Italia, in fatto di cure, è una delle migliori nazioni al mondo. Il 71% delle persone con questa patologia è vivo a cinque anni dalla diagnosi e può essere considerato guarito. Un risultato importante e di 10 punti percentuali sopra la media registrata nell’intero continente Europeo. Ad affermarlo sono gli esperti della SIUrO, la Società Italiana di Urologia Oncologica. Attenzione però ad abbassare la guardia: se le terapie sono all'avanguardia, siamo ancora indietro sulla diagnosi precoce.
CURE ALL'AVANGUARDIA
Secondo gli ultimi dati AIOM, l'Associazione Italiana di Oncologia Medica, nel 2019 saranno 12.600 i nostri connazionali a cui verrà diagnosticato un tumore al rene. Ad oggi si calcola che siano 130mila gli italiani interessati da questa malattia. Se il 71% è vivo a 5 anni dalla diagnosi, una pecentuale ben superiore alla media europea, lo si deve essenzialmente alle nuove terapie disponibili già da qualche anno. «Le terapie a bersaglio molecolare -spiega Renzo Colombo, Vice Presidente SIUrO, hanno rivoluzionato la lotta ad una neoplasia nella quale la chemioterapia si è storicamente dimostrata poco utile. Rispetto ai decenni precedenti la qualità di vita dei pazienti è quindi notevolmente migliorata».
NUOVI FARMACI PER LE FORME AVANZATE
Quando il tumore viene diagnosticato in fasa avanzata però lo scenario cambia drasticamente. «Nei casi di malattia avanzata o metastatica il tasso di sopravvivenza a 5 anni è del 12% ma in graduale aumento grazie all’avvento di terapie più innovative - sottolinea Giuseppe Procopio, responsabile dell'oncologia medica genitourinaria dell’Istituto Tumori di Milano». Oltre all'immunoterapia, che tanto ha portato in termini di benefici, in Italia è già disponibile la molecola Cabozantinib.
«Si tratta di un farmaco orale inibitore antiangiogenetico che può bloccare la proliferazione cellulare attraverso l’inibizione della formazione di nuovi vasi sanguigni necessari al tumore per nutrirsi. Il farmaco è disponibile sia per il carcinoma renale avanzato in adulti naïve al trattamento a rischio ‘intermediate’ o ‘poor’ che per pazienti adulti precedentemente trattati con terapia contro il fattore di crescita dell’endotelio vascolare (VEGF). Studi di fase II e III hanno inoltre evidenziato come la molecola sia capace di ridurre le metastasi ossee e cerebrali che sono tipiche della patologia uro-oncologica. Si aprono quindi interessanti prospettive che dovranno essere monitorate e quantificate da nuove indagini scientifiche», spiega Procopio.
L'IMPORTANZA DELLA PREVENZIONE
Al di là delle terapie sempre più all'avanguardia, di fondamentale importanza è la prevenzione e la diagnosi precoce. «Il tumore del rene - spiega Giario Conti, Segretario Nazionale SIUrO - è una neoplasia subdola e insidiosa perché spesso rimane clinicamente silente per la maggior parte del suo corso. I sintomi più evidenti, come dolore o presenza di sangue nelle urine, si manifestano solo quando la malattia è già in uno stadio avanzato. Se diagnosticata in fase precoce però ben la metà dei pazienti ha buone possibilità di guarigione».
I FATTORI DI RISCHIO
Da un punto di vista preventivo è utile eliminare diversi fattori. «Si calcola -spiega Conti - che in totale oltre un terzo dei casi di tumore renale può essere collegato al fumo di sigaretta. Il 30% è invece attribuibile al sovrappeso o all’obesità. Esistono inoltre delle persone che devono essere considerate «sorvegliati speciali”. I pazienti affetti da malattia renale policistica, sottoposti a dialisi per lungo tempo, presentano un rischio fino a 30 volte maggiore di sviluppare la neoplasia».
«I parenti di primo grado di malati con carcinoma renale - aggiunge Procopio - possono sviluppare una probabilità quattro volte maggiore di essere colpiti dallo stesso tumore rispetto alla popolazione generale. Particolarmente esposti al rischio sono anche i lavoratori costretti ad un'esposizione prolungata ai derivati del petrolio, torotrast o zinco. Infine non va sottovalutata l’ipertensione, una delle patologie croniche più diffuse e che interessa oltre 15 milioni d’italiani. Aumenta del 60% le probabilità d’insorgenza della malattia uro-oncologica».
Daniele Banfi
Giornalista professionista del Magazine di Fondazione Umberto Veronesi dal 2011. Laureato in Biologia presso l'Università Bicocca di Milano - con specializzazione in Genetica conseguita presso l'Università Diderot di Parigi - ha un master in Comunicazione della Scienza ottenuto presso l'Università La Sapienza di Roma. In questi anni ha seguito i principali congressi mondiali di medicina (ASCO, ESMO, EASL, AASLD, CROI, ESC, ADA, EASD, EHA). Tra le tante tematiche approfondite ha raccontato l’avvento dell’immunoterapia quale nuova modalità per la cura del cancro, la nascita dei nuovi antivirali contro il virus dell’epatite C, la rivoluzione dei trattamenti per l’ictus tramite la chirurgia endovascolare e la nascita delle nuove terapie a lunga durata d’azione per HIV. Dal 2020 ha inoltre contribuito al racconto della pandemia Covid-19 approfondendo in particolare l'iter che ha portato allo sviluppo dei vaccini a mRNA. Collabora con diverse testate nazionali.