Alcune mutazioni in geni chiave, come quelli BRCA, aumentano le probabilità di sviluppare un tumore. Uno studio da poco pubblicato su Nature Genetics ne ha individuati altri quattro associati ad un aumentato rischio
Un tumore non si sviluppa mai per caso. Quando una cellula perde il controllo e cresce ad un ritmo più veloce delle altre le ragioni sono tante: da un lato c'è il fisiologico processo della vecchiaia, dall'altro un accumulo di "danni" al Dna dovuti allo stile di vita non sempre salutare. C'è però un terzo fattore che può contribuire allo sviluppo di un cancro: la genetica. Possedere alla nascita particolari mutazioni in geni essenziali nel controllo della crescita cellulare può aumentare -ma in alcuni casi anche diminuire- le probabilità di sviluppare un tumore. Oltre ai classici geni che conosciamo -i più noti sono i BRCA 1 e 2- un nuovo studio pubblicato su Nature Genetics ha individuato 4 nuovi geni associati ad un aumentato rischio e due in grado di proteggere. Una scoperta, opera dei ricercatori del progetto deCODE genetics/Amgen, che aprirà la strada a nuove possibili forme di prevenzione e sviluppo di farmaci mirati.
COSA SONO I TUMORI EREDOFAMILIARI?
I tumori non sono tutti uguali. La maggior parte dei casi -i cosiddetti tumori sporadici- deriva da una combinazione di fattori ambientali, esposizione ad agenti cancerogeni e stili di vita. Oltre a questi esistono però tumori che hanno origine principalmente da "difetti" nel Dna presenti fin dalla nascita: si tratta dei tumori ereditari. La presenza di queste varianti patogenetiche aumenta in modo significativo il rischio di sviluppare la malattia. Ciò non significa che una persona con queste mutazioni svilupperà con certezza la malattia.
QUALI GENI SONO COINVOLTI?
Le "mutazioni" sicuramente più famose sono quelle nei geni BRCA 1 e BRCA 2 -famose per i casi di Angelina Jolie e recentemente di Bianca Balti-. Possederle significa avere a una predisposizione maggiore (oltre il 60% nell’arco della vita) di sviluppare un tumore al seno e all'ovaio rispetto alla popolazione in cui i geni non hanno questi "difetti". Oltre a queste neoplasie le mutazioni in BRCA sono associate anche, in maniera miniore, allo sviluppo dei tumori della prostata e del pancreas. Su quest'ultimo, ad esempio, abbiamo raccontato in questo nostro approfondimento l'utilità dei progetti sperimentali di screening di diagnosi precoce nei soggetti a rischio. Oltre alle mutazioni in BRCA, c'è una serie di altri geni che in maniera minore impattano sul rischio cancro. Tra questi ricordiamo MSH2, MLH1, MSH6, PMS2, EPCAM (presenti nelle persone con sindrome di Lynch, malattie che predispone allo sviluppo di numerose neoplasie in fase precoce come quelle del colon-retto), APC (presenti nelle persone con Poliposi Adenomatosa Familiare), TP53 e PALB2.
QUATTRO NUOVI GENI INDIVIDUATI
Complice però la possibilità di indagare le sequenze di Dna in maniera approfondita, in questi anni sono stati numerosi gli studi realizzati volti ad indagare nuove possibili associazioni. Tra quelli più all'avanguardia ci sono gli studi di deCODE Genetics, società del gruppo Amgen che si concentra sul sequenziamento completo del genoma per individuare varianti genetiche rare e comuni che influenzano il rischio di malattie. Nello studio da poco pubblicato su Nature Genetics gli autori hanno esaminati oltre 130 mila genomi di persone che hanno avuto un tumore comparandoli con quelli di oltre 700 mila individui sani provenienti da Islanda, Norvegia e Regno Unito. Dalle analisi sono emersi in particolare quattro geni le cui mutazioni si associano ad un aumento del rischio di cancro: BIK nel tumore della prostata, ATG12 nel tumore del colon-retto, TG nel tumore della tiroide e CMTR2 nel tumore del polmone e nel melanoma. Un aumento che però, per come era strutturato lo studio, dovrà essere quantificato in maniera migliore.
QUANDO LA GENETICA "PROTEGGE"
Lo studio ha però anche rivelato l'altra faccia della medaglia. Esistono infatti geni che, quando mutati, possono proteggere dallo sviluppo della malattia. Dalle analisi è emerso che alcune rare varianti nel gene AURKB proteggono da qualsiasi tipo di cancro mentre quelle in PPP1R15A si associano ad un rischio inferiore di sviluppare un tumore al seno.
PROSPETTIVE FUTURE
Attenzione però a trarre facili conclusioni: quanto ottenuto suggerisce che, sebbene la predisposizione sia rilevante, gli effetti siano differenziati in base al gene e al tipo di tumore con valori di rischio che variano a seconda delle caratteristiche delle popolazioni studiate. L'aver individuato nuovi geni, seppur dovendo quantificare meglio il rischio, aprirà però due strade: da un lato la conoscenza di essere portatori potrà plasmare nuovi percorsi di prevenzione, dall'altro l'individuazione di questi geni potrà essere utile nell'andare a sviluppare terapie mirate per quelle forme di cancro.
Daniele Banfi
Giornalista professionista del Magazine di Fondazione Umberto Veronesi dal 2011. Laureato in Biologia presso l'Università Bicocca di Milano - con specializzazione in Genetica conseguita presso l'Università Diderot di Parigi - ha un master in Comunicazione della Scienza ottenuto presso l'Università La Sapienza di Roma. In questi anni ha seguito i principali congressi mondiali di medicina (ASCO, ESMO, EASL, AASLD, CROI, ESC, ADA, EASD, EHA). Tra le tante tematiche approfondite ha raccontato l’avvento dell’immunoterapia quale nuova modalità per la cura del cancro, la nascita dei nuovi antivirali contro il virus dell’epatite C, la rivoluzione dei trattamenti per l’ictus tramite la chirurgia endovascolare e la nascita delle nuove terapie a lunga durata d’azione per HIV. Dal 2020 ha inoltre contribuito al racconto della pandemia Covid-19 approfondendo in particolare l'iter che ha portato allo sviluppo dei vaccini a mRNA. Collabora con diverse testate nazionali.