La malnutrizione riguarda 4 malati di tumore su 10 già alla diagnosi. Il supporto nutrizionale fa la differenza su cure e qualità di vita, ma pochi ospedali lo garantiscono
Il cancro, per proliferare, sottrae calorie all’organismo. Secondo alcuni studi è stato calcolato che il tumore sia in grado di sottrarre addirittura dalle 300 alle 500 calorie al giorno e da 15-20 gr di proteine quotidiane. Quello della malnutrizione calorico-proteica è dunque un tema fondamentale perché garantire un apporto calorico corretto ai malati oncologici significa permettere loro di meglio affrontare le cure e quindi di migliorare la prognosi, come emerso, del resto, anche durante il V Congresso Nazionale della SINuC (Società Italiana di Nutrizione Clinica e Metabolismo).
COSÌ IL TUMORE SI “MANGIA” ENERGIA
«Quando si sviluppa un tumore, si stabilisce una interazione tra cellule neoplastiche e cellule dell’ospite (le cellule della persona malata)» spiega Alessio Molfino, professore associato di Medicina Interna presso il Dipartimento di Medicina Traslazionale e di Precisione della Sapienza Università di Roma. «Ciò determina l’attivazione di una risposta infiammatoria con un conseguente aumento del catabolismo, ossia la distruzione delle sostanze nutritive per permettere alle cellule cancerogene di proliferare. È quello che viene definito come una sorta di tsunami metabolico, denominato in termini tecnici “crosstalk”. Si tratta, in sostanza, del rilascio di un esercito di molecole in grado di agire sul sistema nervoso centrale, inibendo, al tempo stesso, i centri dell’appetito e determinando la diminuzione della massa muscolare e del tessuto adiposo. Molto significativo appunto anche l’impatto, fino ad ora poco studiato, sull’adiposità, come reso evidente da un recente studio coordinato da me e pubblicato su Cancers. Il risultato è la perdita involontaria e progressiva di massa muscolare e grasso. Il paziente ha meno fame e tende a dissipare energia. Ciò determina un dimagrimento che è molto marcato, in particolare per alcuni tipi di tumore, come quello del polmone e dell’apparato gastrointestinale (pancreas, stomaco e talvolta, ma non sempre, colon)».
L'“ANORESSIA NEOPLASTICA”
«Le alterazioni metaboliche dettate dalla presenza delle cellule cancerogene determinano un’anoressia che non è dunque di tipo nervoso, quella comunemente nota», prosegue Molfino, «ma è un’anoressia neoplastica che ha però le ripercussioni tipiche della mancanza di un adeguato apporto nutritivo. Il paziente, già provato dalla malattia, si indebolisce ulteriormente, accusa fatica e stanchezza e il suo peso, sempre più ridotto, non gli permette di portare a termine le terapie. La ripercussione ovvia: il peggioramento della prognosi. Non dimenticando inoltre che la mancanza immotivata di appetito (cioè non legata da motivi specifici come diete, periodo di grande stress,…) e la conseguente perdita di peso (che in taluni casi può avvenire anche in assenza di diminuito appetito) può essere la spia della malattia oncologia. Deve essere quindi sempre riferita al medico curante».
CHE COSA FARE CONCRETAMENTE?
Il gap calorico e proteico deve essere colmato tramite interventi di counseling nutrizionale che comprendono piani dietetici personalizzati con alimenti arricchiti e un supporto psicologico. «Fondamentale è, in primis, il supporto di un medico esperto in nutrizione clinica», prosegue Molfino, «che costituisce la conditio sine qua non per attuare strategie davvero in grado di permettere al paziente di ristabilirsi e affrontare il percorso di cura. La nutrizione oncologica richiede un approccio personalizzato che deve prevedere strategie da valutare, con grande attenzione, caso per caso».
CHE COSA ACCADE NELLA REALTÀ?
Questo il mondo ideale. Ma che cosa succede nella realtà? Secondo il Position Paper redatto dal gruppo di lavoro "Survivorship Care e Supporto Nutrizionale" di Alleanza Contro il Cancro, di cui fanno parte i 23 IRCCS del network, l’Istituto Superiore di Sanità e le associazioni AIMaC e AIOM, la malnutrizione causerebbe ben oltre 30.000 decessi all’anno. Spiegano in un comunicato come, nonostante il vantaggio per la salute dei malati e per la sostenibilità delle cure, il supporto nutrizionale sia ancora sottovalutato: «Sono ancora pochi, infatti, gli ospedali che assistono i malati di cancro e che garantiscono loro anche la presenza di un pool di nutrizionisti clinici in grado di supportare il lavoro di oncologi, chirurghi e radioterapisti. E questo nonostante il loro contributo risulti fondamentale per ridurre le probabilità o a ridimensionare le conseguenze della malnutrizione, un problema che riguarda almeno 4 malati di cancro su 10 già al momento della diagnosi. E che, come documentato da diversi studi, ha un impatto significativo sulla prognosi. Le stime ufficiali dicono che il 20 per cento dei pazienti non riesce a superare la propria malattia in ragione delle conseguenze che uno stato nutrizionale non ottimale ha sull’efficacia delle terapie e sulla qualità di vita dei pazienti. Per migliorare i tassi di guarigione dal cancro, dunque, è fondamentale garantire a tutti i malati un adeguato supporto nutrizionale. E - a differenza di quanto spesso finora considerato - anche economicamente vantaggioso per i sistemi sanitari che potrebbero ottimizzare le proprie spese vedendo crollare il numero degli accessi in pronto soccorso e di una quota significativa di ricoveri evitabili».
COSTI INIQUI PER I SUPPLEMENTI NUTRIZIONALI
E i costi per i pazienti? Gli autori citano inoltre uno studio pubblicato sulla rivista «Nutrition» da un gruppo di ricercatori delle Università di Pavia e Sapienza di Roma e del Centro di Ricerca sulla Gestione della Salute e dell’Assistenza Sociale (CERGAS) dell’Università Bocconi di Milano, secondo cui nel 2015 si sono spesi 49 milioni per l'acquisto di supplementi orali e solo il 32 per cento è stato coperto dal Sistema Sanitario Nazionale, con profonde differenze fra le regioni «che finiscono per creare una disparità nell’accesso alle cure dei pazienti oncologici».
Sostieni la ricerca scientifica d'eccellenza e il progresso delle scienze. Dona ora.
Fonti
Paola Scaccabarozzi
Giornalista professionista. Laureata in Lettere Moderne all'Università Statale di Milano, con specializzazione all'Università Cattolica in Materie Umanistiche, ha seguito corsi di giornalismo medico scientifico e giornalismo di inchiesta accreditati dall'Ordine Giornalisti della Lombardia. Ha scritto: Quando un figlio si ammala e, con Claudio Mencacci, Viaggio nella depressione, editi da Franco Angeli. Collabora con diverse testate nazionali ed estere.