La steatosi epatica è più diffusa tra gli uomini, ma una sua variante aggressiva pesa sul sesso femminile dopo la menopausa. Patologia silenziosa, può condurre a cirrosi e tumori del fegato
Di solito lo si scopre per caso, facendo esami d’altro genere, perché il fegato grasso (o fatty liver disease) è una condizione “silenziosa”. Non dà sintomi. La steatosi epatica, questo il termine tecnico, non è però rara: interessa un terzo della popolazione mondiale ed è in costante aumento, specialmente per quando riguarda le forme avanzate tra le donne. Gli esperti ritengono che nei prossimi dieci anni questo eccesso di grassi nel fegato, causa di una infiammazione cronica, diventerà la principale causa di cirrosi, trapianti e tumore epatico, con un aumento che colpirà ancora in particolare le donne.
UNA RICERCA ITALIANA
A proposito del genere femminile e della steatosi, Nature Medicine ha pubblicato uno studio italiano, condotto dal Policlinico e dall’Università Statale di Milano, sulla variante ereditaria più aggressiva che predispone al fegato grasso che dimostra come questo fattore genetico abbia un impatto maggiore nelle donne in menopausa determinando una progressione della steatosi ad un ritmo sostenuto. In generale, osservano i ricercatori, l’interazione tra steatosi e donne non è stata molto studiata, sfuggendo all’attenzione degli studiosi. Ora per la prima volta si getta luce su un tratto dell’esistenza femminile che, con l’allungarsi dell’età, diventa socialmente più esteso.
NELL’ETÀ FERTILE LE DONNE PROTETTE
Diciamo subito il nome della variante genetica di fegato grasso: Pnpla3 p.I148m che diventa pericolosa per le donne dopo la menopausa. «In realtà la steatosi generalmente è più diffusa tra gli uomini – spiega il primo autore Alessandro Cherubini, ricercatore dell’unità operativa di Medicina Trasfusionale del Policlinico – mentre le donne, durante l’età fertile, risultano maggiormente protette soprattutto in assenza della proteina mutata, molto probabilmente grazie al ruolo degli estrogeni. Tuttavia, nelle donne portatrici della variante, già a partire dalla perimenopausa (45-54 anni) e dopo i 55 anni (menopausa) si osserva una progressione più severa che le conduce a raggiungere i livelli di gravità degli uomini».
I DATI DI 5.000 DONATORI DI SANGUE
Per il loro studio gli scienziati milanesi hanno utilizzato tecniche di sequenziamento ed editing genetico combinate a simulazioni con organoidi, “mini fegati” sviluppati in laboratorio sotto la guida di Luca Valenti, professore associato di Medicina Interna dell’Università Statale e responsabile del Centro di Risorse biologiche del Policlinico. Si è inoltre fatto ricorso ad uno studio di coorte proprio e all’enorme disponibilità di dati della Biobank del Regno Unito. Si sono anche impiegati i dati di circa cinquemila donatori di sangue che afferiscono alla Medicina trasfusionale del Policlinico. «Sono stati utilizzati come gruppo di controllo e per individuare chi ha la tendenza alla steatosi», spiega il professor Valenti.
IMPORTANTE L’EREDITARIETÀ
I fattori di rischio per la steatosi sono numerosi: ereditarietà, stile di vita non sano, alimentazione scorretta, aumento di colesterolo e trigliceridi, ipertensione arteriosa e sovrappeso. «Ormai le prime cause delle malattie epatiche stanno diventando obesità e diabete», nota Luca Valenti. In più, conta l’avanzare dell’età. Quanto alla variante Pnpla3 p.I148m, è causa del 16 per cento delle cirrosi e del 27 per cento di tumori del fegato negli europei.
LE BASI PER TERAPIE FUTURE
«Nello studio mostriamo che c’è una specifica interazione moltiplicativa tra il sesso femminile e la variante nel determinare la predisposizione a sviluppare la steatosi associata a disfunzione metabolica non alcolica -, spiega il dottor Cherubini. – E la steatosi non alcolica è una delle cause in aumento di cirrosi e tumore del fegato, soprattutto nelle donne, specie nelle persone più anziane». I ricercatori sottolineano che la loro indagine pone le basi per terapie future dirette a bloccare la proteina mutata e, comunque, a tener conto sia della variabilità genetica sia della storia clinica dei pazienti in un quadro che essi definiscono interno alla “medicina di precisione”. In attesa o al posto di farmaci, dipende dalla serietà dei casi, per chi ha il fegato grasso restano le indicazioni per uno stile di vita sano, basato sulla dieta mediterranea e l’attività fisica regolare.
Fonti
Serena Zoli
Giornalista professionista, per 30 anni al Corriere della Sera, autrice del libro “E liberaci dal male oscuro - Che cos’è la depressione e come se ne esce”.