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Oncologia
Daniele Banfi
pubblicato il 12-09-2011

Conviene sapere in anticipo se si avrà un tumore?



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Si chiamano “Test di suscettibilità genetica” e permettono di conoscere la predisposizione alle malattie. Una ricerca dimostra che non comportano una cambiamento nei nostri stili di vita. Forti dubbi invece sulla loro veridicità

Conviene sapere in anticipo se si avrà un tumore?
I test genetici predittivi 'fai da te', che vanno molto di moda negli Usa e in Europa, andrebbero vietati. La presa di posizione, suffragata da uno studio che mette in discussione la veridicita' dei risultati, e' stata espressa durante il congresso della European Society of Human Genetics che si è svolto nelle scorse settimane ad Amsterdam. Intanto, in attesa di verificare l'effettiva veridicità dei test, c'è chi si preoccupa dell'impatto che potrebbero avere sulla nostra vita. Essere a conoscenza di un’eventuale predisposizione genetica ad una malattia può influenzare il nostro stile di vita? E’ questa la domanda che si sono posti i ricercatori dello Scripps Research Institute di La Jolla (California) in uno studio pubblicato dal New England Journal of Medicine. La risposta è negativa: sapere di essere predisposti a sviluppare una malattia non ha nessuna ripercussione nei comportamenti in materia di prevenzione.

TEST DI SUSCETTIBILITA’- Con l’avvento delle più moderne tecniche di sequenziamento del DNA, ovvero la possibilità di decifrare ogni singolo componente dei nostri geni e scoprirne eventuali mutazioni, è possibile verificare se si è predisposti a sviluppare una malattia. Il tutto semplicemente attraverso un piccolo prelievo di saliva. Un risultato che però potrebbe generare stati d’ansia in grado di condizionare ogni singola scelta della nostra vita in base al risultato dei test. Al momento negli Stati Uniti, dove fare i test genetici predittivi è ormai diventata una moda, diverse aziende offrono questo genere di servizio volto a valutare la suscettibilità a sviluppare malattie come Alzheimer, Diabete, Morbo di Crohn e psoriasi.

LO STUDIO- L’analisi, che ha coinvolto circa 3600 persone, ha valutato la presenza di oltre 500 mila varianti genetiche comuni implicate nel possibile sviluppo di 23 malattie. Per ciascuna delle condizioni, i risultati del test hanno mostrato un confronto tra il rischio di sviluppare una data malattia nella popolazione generale e il rischio stimato nel partecipante. Dopo circa sei mesi dai risultati dei test, gli autori dell’indagine hanno chiesto agli individui sottoposti allo studio di compilare un questionario che valutasse l’eventuale presenza di stati ansiosi dovuti ai risultati e gli eventuali cambiamenti nello stile di vita e nelle abitudini alimentari.

RISULTATI INATTESI- In maniera del tutto inattesa circa il 90% delle persone non ha mostrato alcun segno di preoccupazione legato ai risultati del test. Non solo, non vi era stato alcun effetto né sulle abitudini alimentari né tantomeno sulla volontà di cominciare a praticare una regolare attività fisica.

RUOLO DEI TEST PREDITTIVI- I test genetici predittivi sono cosa ben diversa dai test genetici tradizionali. Questi ultimi hanno come scopo quello di riscontrare un’eredità patologica già in atto (è il caso del feto in utero), oppure la possibilità che malattie ereditarie presenti negli ascendenti della coppia sconsiglino la procreazione (è il counselling genetico) oppure che la condizione di semplice “portatore” (com’è il caso del tratto talassemico) induca alla semplice precauzione di non procreare con un partner che abbia la stessa situazione. I test “predittivi” sono invece una cosa diversa. Più correttamente, dobbiamo chiamarli test di “suscettibilità”. «Questi test non indicano che un individuo si ammalerà di una determinata malattia, ma soltanto che questo soggetto ha un rischio aumentato rispetto alla generalità della popolazione» tiene a precisare il professor Umberto Veronesi. Naturalmente, e non è stato il caso dello studio del New England Journal of Medicine, i test di suscettibilità non vanno praticati come screening di massa, ma riservati solo a quelle persone che per la loro storia familiare risultano avere un rischio aumentato. Nel caso che siano portatori di mutazioni genetiche che potrebbero dar luogo alla malattia allora dovranno eseguire controlli ravvicinati, in modo da poter intervenire in modo tempestivo se la malattia dovesse manifestarsi.

NON SOLO GENETICA- Qual è il fattore principale che scatena la malattia? E’ quello genetico o ambientale? «Credo che siano importanti entrambi. L’ambiente, e con ciò s’intendono anche le abitudini di vita, come il fumare o il mangiare in modo sbagliato e irrazionale è sempre stato al centro delle preoccupazioni della scienza medica. Ma dobbiamo riflettere anche sull’inquinamento ambientale: dell’acqua, dell’aria, della catena alimentare» conclude Umberto Veronesi.

 

Daniele Banfi
Daniele Banfi

Giornalista professionista del Magazine di Fondazione Umberto Veronesi dal 2011. Laureato in Biologia presso l'Università Bicocca di Milano - con specializzazione in Genetica conseguita presso l'Università Diderot di Parigi - ha un master in Comunicazione della Scienza ottenuto presso l'Università La Sapienza di Roma. In questi anni ha seguito i principali congressi mondiali di medicina (ASCO, ESMO, EASL, AASLD, CROI, ESC, ADA, EASD, EHA). Tra le tante tematiche approfondite ha raccontato l’avvento dell’immunoterapia quale nuova modalità per la cura del cancro, la nascita dei nuovi antivirali contro il virus dell’epatite C, la rivoluzione dei trattamenti per l’ictus tramite la chirurgia endovascolare e la nascita delle nuove terapie a lunga durata d’azione per HIV. Dal 2020 ha inoltre contribuito al racconto della pandemia Covid-19 approfondendo in particolare l'iter che ha portato allo sviluppo dei vaccini a mRNA. Collabora con diverse testate nazionali.


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