Per la rara forma midollare l’ultima frontiera sono le terapie con alcuni inibitori: non eradicano il tumore, ma lo bloccano consentendo di conviverci. Se ereditabile, invece, la chirurgia profilattica è risolutiva
E’ strano pensare al cancro come a una malattia con cui convivere e non da debellare. Eppure molti pazienti con diagnosi di carcinoma midollare della tiroide, rarissima forma tra le neoplasie, hanno iniziato a considerare il loro «male» come una qualsiasi patologia cronica. Merito di molecole, gli inibitori dei recettori per le tirosi-chinasi, che hanno rivoluzionato la gestione della malattia come fece l’insulina per il diabete.
GLI INIBITORI
Fino a qualche anno fa, l’unica strada terapeutica percorribile era la tiroidectomia, ovvero la rimozione chirurgica della tiroide. Risolutiva in stadi precoci, solo se le cellule parafollicolari di origine endocrina, quelle soggette a proliferazione tumorale, non hanno già invaso altri tessuti e organi. Ma le diagnosi tardive sono tuttora frequenti, data la rarità della malattia: il carcinoma midollare rappresenta solo il 5 per cento dei tumori tiroidei che, già di per sè, sono solo l’1 per cento di tutte le neoplasie. Ad accelerare, in pochi anni, il progresso scientifico è stata l’individuazione di mutazioni genetiche – sugli oncogeni RET e RAS - con un ruolo cruciale nella patogenesi. «Complessivamente le mutazioni note ricorrono nel 10 per cento dei carcinomi midollari. L’idea che ci siamo fatti, non ancora confermata, è che le forme con le mutazioni di RAS, meno frequenti, abbiano un andamento meno aggressivo di quelle con mutazione RET», spiega Rossella Elisei del Dipartimento di Endocrinologia dell’Università di Pisa e coautrice di pubblicazioni scientifiche sul tema. Dall’ultimo congresso dell’Associazione Europea della Tiroide, tenutosi a Leiden, è emerso che alcune caratteristiche genetiche potrebbero determinare una migliore risposta alle nuove terapie con inibitori. Queste ultime agiscono su recettori specifici, bloccando il flusso di informazioni molecolari che ordina al tumore di crescere. Un solo farmaco è stato al momento approvato in Europa ed è già a disposizione dei pazienti anche in Italia.
PROFILASSI CHIRURGICA
Il 20 per cento dei pazienti eredita la malattia da un famigliare. Solo la mutazione di RET è trasmissibile e può essere individuata oggi da un test genetico che, quando positivo, conduce alla rimozione chirurgica preventiva della tiroide. Un’opzione analoga a quella scelta da Angelina Jolie qualche tempo fa con l’intento di salvarsi dal tumore al seno. Ma con una sostanziale differenza: mentre per tutti i tipi di tumore l’individuazione di mutazioni in specifici geni è associata a un aumentato rischio di sviluppo neoplastico, avere un genitore con carcinoma midollare della tiroide significa invece ammalarsi con certezza statistica. Presto o tardi, ma sicuramente. La tiroidectomia, invece, elimina in modo definitivo la possibilità di sviluppare la malattia.
LA STORIA DI GAETANO
Riassume le tappe della ricerca scientifica fino ad oggi. Nel suo album di famiglia, tre pazienti. La madre, scomparsa in giovane età per questa malattia tiroidea dopo una chemioterapia inefficace. Lui, Gaetano Partipilo, jazzista noto nel panorama internazionale, che dopo una diagnosi tardiva convive quotidianamente con un cancro ormai paralizzato dalle terapie con inibitori. Infine la figlia, monitorata sin dalla nascita e già sottoposta in tenera età all’intervento chirurgico profilattico, non si ammalerà mai. «La terapia è orale, si segue in autonomia ed è per tutta la vita. L’idea di convivere con una patologia maligna può spaventare, ma è possibile con un monitoraggio continuo – prosegue – Ora si deve migliorare l’accessibilità alle cure, che costano circa 4 mila euro al mese per paziente». Questione aperta anche la classificazione della malattia: seppure in Italia si contino solo 200 nuovi casi all’anno, il carcinoma midollare della tiroide non è ancora nella lista delle malattie rare.