Ci sono pazienti su cui un intervento è efficace anche 24 ore dopo l’ictus. Una svolta, ma la tempestività resta cruciale
È caduta la barriera delle sei ore, la famosa finestra terapeutica di tempo utile per intervenire contro l'ictus cerebrale. Lo spazio per un intervento efficace è stato ora allargato fino alle 24 ore. Una svolta rivoluzionaria che permetterà di trattare tanti più pazienti, strappandoli alla disabilità o quantomeno riducendola, come hanno detto gli autori del Dawn Trial: un gruppo di ricercatori di vari paesi, guidati da Tudor G. Jovin, dell’University of Pittsburg Medical Center Stroke Institute. Valeria Caso, neurologa presso la Stroke Unit dell’ospedale Santa Maria della Misericordia di Perugia, che è Presidente dell’European Stroke Organization, racconta: «Il lavoro è stato presentato alla nostra conferenza mesi fa a Praga ed è stato davvero emozionante ascoltarlo. Pazienti che dalla sesta alla ventiquattresima ora dopo l’ictus sarebbero stati orfani di un trattamento perché non rientravano nei criteri per la trombectomia o la trombolisi ora avevano una terapia».
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I DUE METODI
Trombectomia è l’intervento con un catetere inserito nell’arteria femorale all’inguine e fatto scivolare su fino al punto dove c’è il trombo, l’occlusione del vaso sanguigno, nella testa: si tratta di rimuoverlo meccanicamente. La trombolisi, invece, punta sciogliere il trombo chimicamente, con farmaci solventi come l’aspirina. Dove sta la novità del trattamento degli scienziati schierati sotto la sigla Dawn? Sostanzialmente che hanno adottato il neuroimaging per osservare e, successivamente, scegliere, anche in base ai dati clinici, i pazienti trattabili al di là delle sei ore classiche. In totale sono stati presi 206 pazienti arrivati in ospedale tra le sei e le ventiquattro ore dopo l'evento ischemico. Metà scelti a caso sono stati sottoposti a trombectomia e l’altra metà ai trattamenti medici standard.
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LA META’ MENO DISABILI
Quasi la metà (48 per cento) dei pazienti cui il trombo era stato rimosso hanno mostrato un grande calo della disabilità: addirittura 36 di loro hanno ripreso in pieno le loro funzioni. Gli altri dello stesso gruppo sono rimasti segnati, comunque 3 mesi dopo la trombectomia apparivano in grado di cavarsela da soli nelle semplici attività di ogni giorno. Una simile diminuzione di strascichi da ictus è risultata solo nel 13 per cento dei pazienti trattati con il modello medico standard. Ma, avvertono i ricercatori di Dawn, resta valido il mantra ben noto nelle stroke unit: il tempo è cervello. Non un minuto va perso anche se ora i confini dell'intervallo operatorio sembrano allargati.
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E' POSSIBILE
UN NUCLEO RISTRETTO DI PAZIENTI
Lo studio, che è stato pubblicato sul New England Journal of Medicine, ha come novità di scegliere i pazienti con un piccolo volume colpito dall'ictus, ma con una larga area del cervello a rischio di ischemia però ancora salvabile. Spiega Caso: «I colleghi sono intervenuti su pazienti che avevano l’occlusione nell’arteria cerebrale media o nella carotide interna, vale a dire i più gravi in assoluto, destinati, quando sopravvivono, a gravi disabilità. Per loro si apre una promettente prospettiva, con la trombectomia praticabile in un tempo più ampio si allarga l’area delle funzioni recuperate, e non aumenta il sanguinamento durante l’intervento».
Serena Zoli
Giornalista professionista, per 30 anni al Corriere della Sera, autrice del libro “E liberaci dal male oscuro - Che cos’è la depressione e come se ne esce”.