Il rischio di ictus giovanile entro i 35 anni è del 44 per cento superiore nelle donne rispetto ai coetanei. Non ancora chiari i motivi. Gli ormoni guidano la partita?
Si associa di solito l’ictus a una persona anziana: in Italia il 75 per cento dei casi di verifica in persone con più di 65 anni, con una prevalenza maggiore nei maschi (7,4 per cento contro il 5,9 per cento delle coetanee). Ma nei casi di ictus giovanile, meno frequenti, le donne sembrano sensibilmente più esposte.
Di questi argomenti parleremo in occasione della conferenza "Science for Peace and Health" dal titolo "SONO, SEI, È Prospettive della scienza su sesso, genere, identità" il prossimo 11 novembre.
LO STUDIO
Sorprende una ricerca che mette in primo piano le ragazze: così si possono definire le donne di 35 anni o più giovani che risultano avere il 44 per cento in più di probabilità di subire un ictus ischemico rispetto ai coetanei maschi. La distanza tra i due sessi si restringe nella fascia 35-45 anni dove tuttavia si sono raccolti dati discordanti e non è chiaro se prevalgano gli uomini o le donne. L’indagine è una review che ha rivisitato 16 studi internazionali pubblicati tra gennaio 2008 e luglio 2021 ed è stata pubblicata su Stroke, giornale dell’American Stroke Association, a sua volta parte dell’American Heart Association.
DEI 4 TIPI DI ICTUS DOMINA L’ISCHEMICO
Sono così stati ‘rivisti’ i casi di quasi 70.000 giovani maschi e femmine di diversi paesi tra cui Stati Uniti e Paesi Bassi, Canada e Francia. E questi casi comprendevano tutti i tipi di ictus: ictus ischemico, che da solo arriva all’87 per cento, ictus emorragico, Tia o attacco ischemico passeggero, criptogenico per il quale non è individuata nessuna causa. Nella revisione si sono incontrati soprattutto gli ictus ischemici che vengono provocati da un grumo o trombo che in un vaso sanguigno cerebrale blocca il flusso del sangue, impedendogli di irrorare il cervello. Non si è riusciti, rivelano i ricercatori, a capire i motivi di questa maggioranza di casi nelle giovani donne, se non il “tradizionale” rischio dovuto all’aterosclerosi, malattia degenerativa delle arterie che si irrigidiscono e si coprono di depositi di grasso. Ma questo vale per una parte dei casi.
RECUPERO PIÙ DIFFICILE AL FEMMINILE
Non solo le ragazze vengono colpite il 44 per cento in più dei ragazzi da un ictus, ma ne vengono fuori anche con più difficoltà, con un rischio di 2 o 3 volte maggiore rispetto ai ragazzi di uno scarso recupero delle proprie capacità. Occorre approfondire questi studi, concludono i ricercatori americani per capire meglio anche quanto giochino fattori di rischio come la gravidanza, il parto, i contraccettivi ormonali. Una studiosa di ictus in questa fascia di età giovanile e al femminile è la dottoressa Valeria Caso, della Stroke Unit dell’Ospedale S. Maria della Misericordia di Perugia, che per commentare questo studio esordisce così: «Esistono due donne: quella in età fertile e quella dopo la menopausa. La prima, più giovane, è quella che raccoglie il picco dell’ictus per via della sua vita dominata dagli ormoni, dunque gravidanza, pillola contraccettiva, parto. A questo si aggiunge molte volte il fumo. Poi va considerato lo stile di vita oggi con i disturbi “del benessere” come il diabete».
LA DEPRESSIONE POTENTE CAUSA PER LE DONNE
Si interrompe la dottoressa Caso, poi: «Le donne giovani colpite che ho visto io allo Stroke Unit presentavano tra le cause fattori ormonali o l’emicrania con aura. Ma nel panorama femminile c’è da tener presente la depressione, di cui le donne soffrono molto più degli uomini e che può essere un fattore di rischio non convenzionale per l’ictus». Le cause di “stroke” cambiano anche con le latitudini. Osserva Valeria Caso: «Quanto abbiamo visto finora, in un osservatorio globale, si concentra nei paesi ad alto reddito. Nei paesi poveri tra le cause troviamo spesso infezioni, altre malattia, un numero alto di gravidanze».
L’UOMO QUASI SEMPRE TROVA CHI SI CURA DI LUI
Dallo studio pubblicato su Stroke emerge che la donna giovane è svantaggiata anche nell’impatto della disabilità quale postumo del “colpo cerebrale” che l’ha colpita. «Sì – è la risposta – a parità di deficit all’uscita dall’ospedale a tre mesi dal ricovero lui è più forte. Nell’uomo il recupero è maggiore perché è meno depresso ed ha più forza, compattezza muscolare». Aggiunge poi la dottoressa Caso: «C’è un altro fattore. L’uomo trova quasi sempre qualcuna che si occupa di lui, lo aiuta. La donna ha di solito questo ruolo di caregiver, quella che presta cure ed attenzione, ma se si tratta di se stessa tende a trascurarsi. E dagli altri non sempre trova sostegno».
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Fonti
Serena Zoli
Giornalista professionista, per 30 anni al Corriere della Sera, autrice del libro “E liberaci dal male oscuro - Che cos’è la depressione e come se ne esce”.