Anoressia, bulimia e binge eating disorder colpiscono milioni di persone. Perlopiù ragazzine, nessuno le conta davvero e i posti nei centri sono 900
«Erano circa 3,5 milioni nel nostro paese. Adesso si ipotizza siano almeno 5 milioni a soffrire di anoressia, bulimia, binge eating disorder. Molte sono poco più che bambine, appena dieci o undici anni, altre appena più grandi», esordisce Leonardo Mendolicchio, psichiatra e responsabile dei Disturbi dell’Alimentazione, Istituto Auxologico Italiano, introducendo una malattia sempre più diffusa tra bambini e adolescenti, quella dei disturbi del comportamento alimentare.
CHE COSA SONO I DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE
È un contenitore gigantesco al cui interno si collocano manifestazioni e patologie differenti come anoressia, bulimia, binge eating disorder (disturbo da alimentazione incontrollata, BED), tutte quante accomunate da una grande sofferenza psicofisica e da un rapporto conflittuale e faticoso con il cibo, che è ovviamente la spia di dinamiche psicologiche estremamente complesse.
CHI E QUANTE SONO LE PERSONE COLPITE DA ANORESSIA E BULIMIA
«In genere, hanno massimo sedici anni e sono quasi tutte femmine (circa il 90%) - prosegue Mendolicchio -. I dati sono allarmanti. E lo sono ancora di più, al di là del numero enorme di casi, se si considera che sono dati dettati unicamente dall’esperienza empirica (numero di richieste visite specialistiche e accessi ospedalieri) e non dall’esistenza di precisi riferimenti epidemiologici e appositi registri. Inoltre si tratta di numeri in costante e continuo aumento con un’impennata (più 45%) nel post lockdown e un abbassamento dell’età dell’esordio che avviene due o tre anni rispetto al pre-pandemia, addirittura alla fine della scuola primaria».
I CENTRI SONO POCHI E MAL SEGNALATI
Situazione resa ancora più complessa dalla difficoltà di prendersi cura in maniera adeguata di queste bambine e ragazze e delle loro famiglie. «Perché è una malattia che impatta in maniera devastante su tutto il nucleo familiare» spiega Stefano Erzegovesi, psichiatra, nutrizionista e divulgatore scientifico nell'ambito della sana alimentazione e dei disturbi del comportamento alimentare. «Deve essere presa in carico, il prima possibile, da una équipe multidisciplinare che preveda almeno tre figure: medico, nutrizionista e psicologo. L’iter normalmente inizia con il pediatra e/o medico di base che dovrebbe segnalare alla famiglia un centro di riferimento specialistico presente sul territorio. Ma la mappa dei centri è spesso sguarnita, soprattutto in alcune zone d’Italia. Sono pochi, quasi inesistenti al centro-sud e, qualora ci siano e siano pure eccellenti, mal segnalati. E anche i più importanti centri di riferimento, situati soprattutto al nord, non riescono comunque a supplire alla domanda sempre più crescente». Solo quest'anno è stata pubblicata una mappa dei centri specializzati elaborata dal Centro dipendenze e doping dell'Istituto superiore di Sanità: una novantina i centri censiti, che hanno in carico 8.000 utenti circa.
MILIONI DI RAGAZZE COLPITE. E 900 POSTI LETTO
«Attualmente i letti a disposizione per gli eventuali ricoveri sono nel complesso in Italia, tenendo conto degli ospedali, delle comunità e dei centri diurni, solo circa 900», sottolinea Mendolicchio, «un numeroso dunque infinitesimale rispetto ai bisogni effettivi». Ovviamente poi per i casi più gravi, in relazione alle necessità, si ricorre ai ricoveri presso i reparti di Pediatria e Medicina Generale. «E pensare che circa il 10% di queste ragazze non ce la fa - afferma Erzegovesi - fa gelare il sangue perché si tratta di giovanissime, prive di altre patologie e quindi “altrimenti sane”».
LE RAGIONI DEL DILAGARE DI QUESTA EPIDEMIA
Quali le ragioni di questo terrificante aumento esponenziale dei casi? Le motivazioni sono molte articolate e complesse e, come per quasi tutte le patologie, multifattoriali, concordano gli esperti. A cominciare da una acuita sensazione di solitudine, dovuta alla mancanza ancora più evidente di contatti fisici e rapporti reali con i coetanei nella fase più acuta della pandemia. «Ci sono poi le numerose pressioni sociali a cui i più giovani sono continuamente sottoposti - prosegue Mendolicchio - dai modelli estetici irraggiungibili imperversanti in rete, alle aspettative eccessive da parte della famiglia e della società in genere che chiede di essere iper performanti, sempre». «Va sottolineato però un aspetto importante - prosegue Erzegovesi – ovvero che la famiglia non si deve mai colpevolizzare, ma deve partecipare in maniera attiva al percorso di cura della ragazza e dell’intero nucleo familiare. Per cui è imprescindibile che sia supportata in modo adeguato e venga coinvolta in toto, anche in maniera pratica, affidando mansioni precise da condividere, come la preparazione dei pasti, il momento in cui si apparecchia la tavola…».
QUALI I SINTOMI CHE DEVONO METTERE IN ALLERTA I GENITORI?
Premesso che intervenire il prima possibile fa la differenza sostanziale nell'affrontare i disturbi del comportamento alimentare, ci sono segnali anche piuttosto evidenti, che vanno colti. «Un viso più scavato, silenzi reiterati, la percezione di una tensione di fondo che porta a sbalzi d'umore - prosegue Erzegovesi - costituiscono indicatori molto precisi insieme a una ritualità un po’ ossessiva che diventa sempre più invadente: il cibo viene sminuzzato in piccoli pezzi, i bocconi sono minuscoli e i pasti diventano sempre più lenti. Muta insomma il modo di stare a tavola che si trasforma in un momento molto faticoso, che genera, anche visibilmente, sofferenza. l rapporti con gli altri cambiano e le relazioni sociali si riducono. Anche l’assentarsi immediatamente dopo il pasto per andare in bagno è un segnale importante, così come le lamentele continue circa il proprio aspetto fisico. “Ho le gambe grosse, ho la pancia, ho il volto troppo paffuto….”. Anche in questo caso è il reiterarsi prolungato di queste affermazioni, è la loro ripetitività che deve costituire motivo di preoccupazione, spingendo il genitore a rivolgersi al medico. Non l’affermazione buttata lì una volta ogni tanto, tipica invece dell’età adolescenziale».
ASPETTATIVE FUTURE
Il riconoscimento di una malattia complessa che non è affatto un capriccio di una ragazzina noiosa e viziata che non vuole mangiare e, di conseguenza, la messa in atto di strategie di gestione sul territorio e di fondi a disposizione per la gestione solerte di una patologia che richiede competenza e dialogo. I disturbi del comportamento alimentare sono l’emblema di una cura fatta di parole, azioni, conoscenze scientifiche perché è una malattia che impatta su tutto il corpo e sull’anima. Stravolge una vita giovanissima e quella di tutti i suoi cari.
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Paola Scaccabarozzi
Giornalista professionista. Laureata in Lettere Moderne all'Università Statale di Milano, con specializzazione all'Università Cattolica in Materie Umanistiche, ha seguito corsi di giornalismo medico scientifico e giornalismo di inchiesta accreditati dall'Ordine Giornalisti della Lombardia. Ha scritto: Quando un figlio si ammala e, con Claudio Mencacci, Viaggio nella depressione, editi da Franco Angeli. Collabora con diverse testate nazionali ed estere.