Una mamma ci scrive che teme che la figlia soffra di anoressia nervosa: come aiutarla? I consigli di Stefano Erzegovesi
Sono la mamma di una ragazza che vive lontana da casa e si è da poco laureata. L'anno scorso ci siamo viste poco anche a causa della pandemia e quando l'ho incontrata dopo molto tempo l'ho vista molto dimagrita. Mangia pochissimo, è diventata vegana, ma sopratutto mi ha spaventato la sua ossessione per le calorie introdotte. Ho cercato di non far notare la mia preoccupazione, ed ho insistito con il suo ragazzo perché la convincesse a rivolgersi ad un medico. Come posso sostenerla?
Una mamma preoccupatissima
Risponde il dottor Stefano Erzegovesi, psichiatra e nutrizionista, primario del Centro per i Disturbi Alimentari dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano
Cara signora,
nella sua lettera ci sono moltissimi spunti interessanti, spunti che possono aiutare chi si trova accanto ad una persona cara che soffre di Anoressia Nervosa (AN). Ho diviso la risposta in 6 "capitoletti" per offrirle la massima chiarezza possibile.
1) NON C'È NULLA DI MALE A PREOCCUPARSI
Una "mamma preoccupatissima" richiama alla mente uno dei miti degli anni '80 circa le cause dell'anoressia nervosa: sulla base di dati scientifici scarsi e poco attendibili, si sosteneva che le "madri ansiose e preoccupate" erano una delle cause principali dell'anoressia. Con l'occasione della sua lettera ci tengo a specificare, una volta di più, che la causa dell'anoressia è sempre complessa e legata all'effetto combinato di più fattori di rischio (fattori genetici, individuali, familiari e sociali), quindi MAI collegata ad un'unica variabile. Una mamma non ha motivo di colpevolizzarsi ed, anzi, ha tutti i buoni motivi di preoccuparsi per un disturbo come l'anoressia, che esordisce in maniera insidiosa e che, soprattutto nei primi mesi di malattia, viene percepito dalla paziente come una "scelta di vita da difendere" e non come una "malattia da curare e per cui chiedere aiuto". Nello stesso tempo, una mamma ha bisogno di essere aiutata a non preoccuparsi da sola e in silenzio, ma di trovare il modo di condividere la sua preoccupazione con gli altri membri della famiglia e, soprattutto, di trovare un modo efficace di comunicare la sua preoccupazione con la paziente. Vedremo quest'ultimo punto nel capitolo 4.
2) DISTURBI ALIMENTARI E LOCKDOWN
Il lockdown ha comportato un'impressionante crescita nell'incidenza e prevalenza dell'anoressia nervosa, soprattutto nelle persone più giovani. I principali fattori di rischio sono stati due:
- l'aumento dell'insoddisfazione corporea, collegata all'isolamento sociale, soprattutto all'isolamento dai propri coetanei;
- l'aumento nell'uso di strumenti virtuali, come i social network inneggianti ad un miglioramento del peso corporeo e della forma fisica.
Rispetto a quest'ultimo punto, vietare l'uso del cellulare e dei social network sicuramente non serve, anzi potrebbe innescare un paradossale aumento nell'uso come "sfida" al divieto. E' però sicuramente utile consigliare una limitazione dei tempi occupati dai social network, sopratutto nelle ore più vicine al riposo notturno (le luci bianco-azzurrine degli schermi elettronici comunicano al nostro cervello un segnale di "sveglia", rendendo quindi meno efficiente il successivo sonno).
3) SINTOMI INIZIALI E CAMPANELLI D'ALLARME
Una scelta vegana, se varia e ben condotta con l'aiuto di un esperto in nutrizione, può essere una scelta rispettabile, condivisibile, certamente benefica per la salute della persona e sostenibile per il pianeta. D'altra parte, una scelta vegana rigida e limitante, che comporti l'esclusione di nutrienti essenziali, comporta sempre dei rischi per la salute. L'inizio di una dieta rigida e limitante - vegana o meno - è il più frequente sintomo iniziale di un esordio di anoressia (capita in più del 90% delle pazienti). Altri campanelli d'allarme iniziali possono essere:
- un'eccessiva - o meglio "ossessiva", come lei segnala giustamente nella lettera - preoccupazione per le calorie e per i valori nutrizionali degli alimenti;
- un modo diverso di stare a tavola (meno conviviale, più silenzioso e più preoccupato, con un'innaturale lentezza nel consumare piccoli bocconi);
- un'eccessiva preoccupazione per la forma corporea (richiesta di rassicurazioni, tipo "ho la pancia?", "ho le gambe grosse?");
- un'eccessiva dedizione per l'attività fisica, che perde il significato di momento di benessere condiviso con gli altri e diventa un ossessivo "dovere obbligatorio", con estenuanti e solitarie sessioni di esercizio fisico, a volte assistite da video reperibili in rete.
4) COME COMUNICARE: STARE ZITTI O FAR NOTARE LA PREOCCUPAZIONE?
Nella mia esperienza, i 2 aspetti più importanti nella comunicazione con una ragazza che soffre di anoressia sono l'assenza di giudizio e la necessità di creare una comunicazione "a rete", che coinvolga quindi più persone.
- "Assenza di giudizio" significa sforzarsi di comunicare direttamente con la figlia in una maniera non giudicante, usando, ad esempio, frasi che non comincino con "tu" (ad es. "tu non mangi abbastanza", "tu ti stai rovinando" o "se vai avanti così, morirai") ma con "io" ("ho notato che fai sempre più fatica a mangiare e sono preoccupata", "ho notato che fai molta più attività fisica, anche quando sei distrutta dalla giornata di lavoro", oppure "vedo che fai più fatica a stare insieme agli altri e che la tua qualità di vita ne sta risentendo"). Non sempre una buona comunicazione apre da subito un buon canale di condivisione, ma bisogna comunque insistere per trovare la via giusta e non far sentire da sola la persona che soffre.
- A proposito di "non far sentire da soli", una comunicazione efficace con una ragazza giovane che soffre di anoressia nervosa è sempre una comunicazione "a rete", che preveda la partecipazione, come minimo, di entrambi i genitori e, se possibile, anche di altre figure significative (il fidanzato, un fratello o una sorella vicini di età, un insegnante o un allenatore con cui la ragazza abbia un rapporto di vicinanza, ecc.). Anche in ragazze con pochissima consapevolezza di malattia, che tendono a rifuggire dall'aiuto degli altri, una comunicazione a rete, dove tutte le persone care esprimono in maniera uniforme e non giudicante la loro preoccupazione, con il tempo è sempre la più efficace.
5) COME E A CHI CHIEDERE AIUTO
La cura dell'anoressia nervosa deve essere di tipo specialistico e multidisciplinare, quindi coinvolgere più figure terapeutiche, con un minimo di 3 figure (un medico, un nutrizionista e uno psicologo) che, in maniera organizzata e corale, si occupino della paziente.
6) SOSTEGNO A DISTANZA: NON TEMERE DI ESSERE ROMPISCATOLE
Considerata la necessità di una cura complessa e ben organizzata, il sostegno a distanza non può certamente essere "terapeutico" ma è comunque importantissimo: una famiglia che, seppur a distanza, faccia sentire la sua vicinanza, aiuta sempre la ragazza a maturare la consapevolezza di avere un problema, un problema da non giudicare e da curare come si farebbe con qualsiasi altra malattia di tipo fisico. Per questo le consiglio di non sforzarsi a "non far notare le sue preoccupazioni" (una ragazza giovane "ha le antenne" e comunque coglierebbe il suo sottofondo di malessere e disagio) e di comunicare, in maniera aperta e non giudicante, le sue prepccupazioni, esattamente come farebbe se vedesse sua figlia soffrire per una grave forma di emicrania. Se lo può fare col supporto di suo marito, in modo da concordare una linea comune in cui "mamma e papà dicono esattamente le stesse cose quando si tratta di occuparsi della salute della loro figlia", sarete sicuramente più efficaci. Last but not least, non scoraggiatevi mai: la cura dell'anoressia è, per sua natura, lunga e complessa (richiede almeno 3 anni di cura continuativa) ma, se ben condotta, comporta un'altissima percentuale (oltre il 75%) di efficacia.
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