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Neuroscienze
Serena Zoli
pubblicato il 30-07-2024

L’apparecchio acustico una difesa dalla demenza



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Non sentirci bene fa parte dell’invecchiamento, ma crea isolamento e declino cognitivo. Verso le protesi acustiche resiste una “vergogna sociale”

L’apparecchio acustico una difesa dalla demenza

Quando si superano i 60 anni di età, nel 60 per cento dei casi si comincia ad avere un calo dell’udito, da lieve nei casi fortunati a diversi livelli di gravità. L’informazione viene dall’Organizzazione mondiale della Sanità ed è, insieme, un avvertimento. Questo invecchiamento della funzione uditiva infatti è dovuto al normale passare degli anni, certamente, ma non va preso con rassegnazione. È un tipo di declino che occorre contrastare con le terapie adatte. E la “cura” consiste negli apparecchi acustici che così tanti (il 70 per cento!) disdegnano come non necessari, rumorosamente ingombranti o pure “offensivi”. La principale raccomandazione di chi li cerca, guarda caso, è “che non si vedano”. Preoccupazione che non concerne un altro “aiuto” per un analogo declino legato all’età, il calo della vista: nessun problema per gli occhiali.

 

MENO STIMOLI UDITIVI, MENO “CIBO” PER LA MENTE

L’esortazione ad adottare queste protesi uditive viene da diverse ricerche che chiamano in causa addirittura la demenza come possibile traguardo finale dell’esclusione sociale cui il sentirci poco conduce. Meno stimoli, meno partecipazione, meno “cibo” per la mente, a dirla in breve. In particolare, queste raccomandazioni riguardano le persone che già hanno un lieve declino cognitivo, a rischio di aumentare più velocemente col diminuire della capacità uditiva.

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LO STUDIO E I SEGNI DI DECLINO COGNITIVO

Su questa base di volontari è stata condotta un’indagine dall’Università di California, Los Angeles (Usa), guidata da Natalie Quilala, presentata a giugno al Society of Nuclear Medicine and Molecular Imaging Annual Meeting a Toronto (Canada). «In questo studio riportiamo i risultati da esami continuati con la Pet e visite neuropsicologiche con soggetti con qualche grado di sordità, una parte provvisti di apparecchi acustici e una parte no». Le persone con diminuzione dell’udito non curata mostravano in un anno un significativo declino metabolico in sei regioni frontali corticali e in due regioni temporali superiori mentre il gruppo di controllo, costituito da non sordi, appariva segnato solo nelle due regioni temporali superiori, ma in nessuna delle regioni frontali corticali.

Con sorpresa dei ricercatori, nessun declino annuale metabolico nelle regioni frontali corticali veniva registrato anche nei soggetti con problemi uditivi, ma muniti di protesi. Non c’era nessun cedimento nelle aree cerebrali se non identico a quelli del gruppo di controllo.

 

SORDITÀ LIEVE, RISCHIO DEMENZA DOPPIO

Commenta Natalie Quilala: «Questi dati suggeriscono che, mentre la perdita dell’udito può accelerare il declino nel metabolismo del cervello in persone che già soffrono di un leggero deterioramento cognitivo, questa accelerazione può venire largamente mitigata tramite l’uso di protesi acustiche». Sull’argomento hanno condotto una ricerca anche all’Università di Melbourne, in Australia, pubblicata su Frontiers in Aging Neuroscience. Dopo aver premesso che un certo invecchiamento del nostro cervello è naturale come per il resto del corpo, e sottolineato che, ahimè, questo processo comincia nei nostri vent’anni, gli studiosi australiani ricordano tuttavia che alcune facoltà col tempo si affinano, tipo il linguaggio e la saggezza. Ma quel che la gran parte della gente non sa – premettono – è che il calo dell’udito è associato a un declino cognitivo accelerato che può condurre addirittura al rischio di demenza per le persone anziane che non fanno nulla per rimediare al proprio livello di sordità. Chi ha una perdita dell’udito modesta corre un rischio doppio di arrivare alla demenza rispetto a chi ci sente bene. Mentre chi ha una perdita grave rischia cinque volte di più.

 

L'EFFETTO "RIPARATIVO" DELLE PROTESI ACUSTICHE

Tra i fattori di rischio della demenza potenzialmente modificabili, e che quindi offrono opportunità di prevenzione dei deficit cognitivi, uno notevole è la sordità. I ricercatori di Melbourne ricordano le tre teorie che spiegherebbero il potere "riparativo" delle protesi acustiche.

  1. Una ritiene che il diminuire degli stimoli uditivi nel cervello e la diminuita elaborazione del suono (che è un processo cognitivo) potrebbe causare cambi nella struttura e nella funzione della mente (secondo il principio use it or losed it, traducibile: o lo usi o lo perdi).
  2. La seconda teoria ipotizza che quanti ci sentono poco impegnino così grandi sforzi cognitivi e così tante risorse per riuscire a capire da andare a “reclutare” energie altrove, lasciando meno risorse cognitive per altre funzioni, per esempio la memoria, che può di conseguenza impoverirsi.
  3. La terza ipotesi considera il fatto che chi ci sente poco finisce per trovarsi socialmente isolato, con minore partecipazione alle riunioni, agli eventi pubblici e di amici, ricevendo quindi meno stimoli dagli altri (cose cui risponde tendendo a chiudersi in casa): sarebbe perciò il vissuto psicologico a deteriorare il livello cognitivo in quanto porta alla solitudine e alla depressione, che a loro volta operano dei cambiamenti nelle strutture e nelle funzioni cerebrali.
 

UNO STUDIO DURATO TRE ANNI

La demenza nel mondo avrebbe raggiunto 55 milioni di persone e sembra in aumento. Gli scienziati fanno notare che riuscire a rimandare anche di un solo anno l’insorgere di questa patologia potrebbe diminuire la sua prevalenza globale del 10 per cento. I ricercatori di Melbourne per il loro studio hanno creato due gruppi di persone con problemi di sordità: il primo composto da volontari dotati di protesi acustica, i secondi senza alcun dispositivo. Tutti di età dai 60 anni in su, sono stati seguiti per tre anni. Alla partenza è stata eseguita una valutazione del livello cognitivo di ognuno, usando giochi di carte computerizzati e nessuno a quel punto aveva ancora gli apparecchi uditivi. Il controllo è poi stato ripetuto ogni 18 mesi. «Naturalmente abbiamo impiegato soltanto istruzioni visive – hanno osservato gli scienziati – perché con persone dall’udito variamente compromesso sarebbero sorte confusioni con spiegazioni parlate. Dopo i tre anni di prova, il gruppo con le protesi è apparso cognitivamente stabile mentre le persone senza aiuti uditivi hanno mostrato un declino significativo in tre dei quattro test cognitivi cui sono stati sottoposti tutti».

 

AUMENTANO CADUTE E DEPRESSIONE

Il problema non è solo quello, grave, di un accresciuto rischio di demenza: si fa presente che la perdita dell’udito conduce anche a un maggior pericolo di cadute, di ricoveri ospedalieri, di ricorso ai medici, come pure di depressione e alla fin fine anche ad aumentate probabilità di morte. In complesso l’adottare le opportune protesi, che sono sicure, efficaci e non invasive, aiutano ad ottenere una vecchiaia più in salute e una migliore qualità della vita. 

 

USA LE PROTESI SOLO IL 33 PER CENTO

Ultima raccomandazione: si deve ricorrere agli apparecchi acustici prima che il deficit uditivo abbia creato cambiamenti nel cervello e quando il cervello è ancora flessibile così da adeguarsi alla novità. «Bisogna che la gente smetta di vergognarsi a mettersi le protesi acustiche, non è una vergogna essere sordi, è una malattia -, si accalora il professor Giuseppe Spriano, direttore del Dipartimento di Otorinolaringoiatria dell’Humanitas University di Rozzano (Milano). – Fino a 10 anni fa se le metteva solo uno su 10 di quanti ne avevano bisogno, oggi almeno si è arrivati al 33 per cento. Ma non basta». Anche l'esperto fa l’esempio del calo della vista e degli occhiali: «Nessuno si vergogna a metterseli, c’è chi li mette anche solo per bellezza. Quello dei dispositivi uditivi è un problema sociale. E su questo terreno va combattuto. Perché chi è sordo, tanto o poco, si isola dal mondo, capisce che gli altri parlano, anche solo guardando il labiale, ma non comprende cosa dicono, come se gli altri parlassero arabo... Ed è credibile che questo generi un deterioramento delle facoltà cognitive. Si pensi al caso limite del bambino “sordomuto”: è un bimbo nato sordo che non impara a parlare perché non sente».

 

L’IMPIANTO COCLEARE A UN ANNO DI ETÀ

Il professor Spriano continua: «Nei primi due anni di vita un bambino impara il 90 per cento di quanto imparerà nella vita. Se ha un problema di sordità occorre intervenire subito, provvedere all’impianto cocleare a un anno di età perché così parlerà». All’Humanitas è stato avviato uno studio prospettico sul tema dell’importanza delle protesi acustiche nella prevenzione del decadimento cognitivo, che viene seguito dalla dottoressa Elena Russo, assistente presso l’Unità di Otorinolaringoiatria.

 

INDAGINE SUL DANNO AL NERVO ACUSTICO

«Stiamo arruolando pazienti sopra i 50 anni – spiega – che all’esame audiometrico mostrino una ipoacusia neurosensoriale di entità moderata o severa, il che vuol dire che il danno si localizza a livello dell’orecchio interno o del nervo acustico». Lo studio prevede una prima valutazione cognitiva dei partecipanti al momento dell’arruolamento e una successiva valutazione dopo un’adeguata protesizzazione acustica. «L’obiettivo - afferma la dottoressa Russo - è valutare la presenza di deficit cognitivi in un gruppo rappresentativo di soggetti italiani over 50 con ipoacusia neurosensoriale, e determinare come una tempestiva adozione delle protesi acustiche possa influire sul decadimento cognitivo e sul conseguente isolamento sociale derivante dalla perdita dell’udito». 

Serena Zoli
Serena Zoli

Giornalista professionista, per 30 anni al Corriere della Sera, autrice del libro “E liberaci dal male oscuro - Che cos’è la depressione e come se ne esce”.


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